lunedì 27 febbraio 2012


"e lui idiota correva ancora per le pianure devastate e semplici della sua agonia" (2010)


finire in preda ai denti di chi? l'attrazione
che ritorna è la terra dove siamo in troppi
all'unica richiesta; e se spiegarsi è fare attese
una ad una e portarle via, quando saremmo usciti 
dalle nostre case? un riguardarsi curvi e vedersi 
come mani; e sono ancora rotte le nostre mani 
tese a estrarsi per le ossa come figli, rese estranee
ad ascoltarsi perché parto di argilla non sia fatto 

dal taglio; che per tutto questo Amos abbia visto
dal crollo del santuario fino all'annichilazione 
è proprio perché diritta è la malattia che viene
dal giunco migliore, dal discendere lungo sangue
mai versato se non per l'arresto dei tempi: non
fidarti di chi non risponde mai al padre, veglia
sul pianto, dimentica fermandosi di voce in voce


*


(i tratti di questa eucaristia sono di un lividume
ciclotronico – i masoreti e le aggiunte lasciano
Qumran, unico maschio di un dio celato alla
pigrizia degli addii, dei salti in parti uguali –

è olivastro, spinge e non porta a bruciare, prende
altro genere di radici, raggio di un'unica salute)

Allah è grande alle quattro di notte e poco dopo
si ferma la voce inserita nell'impianto dei minareti,
preregistrata – chi vende l'incenso fissa le bilance –
ma non si annega a En Gedi prima che alla porta
di Damasco nell'ora di preghiera, pronti al digiuno

la sapienza non grida per le strade, non grida a noi
almeno, se non si nega nei fermi del traffico
o nel sabato finanziato degli ebrei – sempre troppa
l'America rimasta ai quattro poli – o i giorni
di Ramadan che portano il presagio, le adunate
notturne collettive scoperchiate dalla gola
dei muezzin, da supino all'osso degli addii
di un'unica salute nell'attimo che tiene l'ombra,
che si ritorce invano dalle mura, spegne
il simulacro, la cessazione degli occhi.


*


(meditare come la forma delle mani riprenda il lato
di un ritorno delle luci al verbo, nella sola incarnazione
fatta ombra, rimessa al posto originario della voce
lasciata qui, in questa pietra, meditare come
la forma delle mani, stanza riaperta per un figlio,
il netto che segna la luce nella sola divisione
che ci fa ombra, che propende al tempo originario
della voce, lasciato qui, in questa pietra, meditare
come la forma delle mani, la stretta che qui
si è allargata, vetta per l'antro che ci ha fatti
ombre, inchiodata, sospenda il vento originario
della voce, lasciato qui, in questa pietra...)
[...]

venerdì 24 febbraio 2012


messages hors service - #01 (trova le differenze)


- aprire una rubrica di messaggi fuori servizio proprio perché per quelli -in- è il caso di rimanere con il solito formato, il solito carattere, la solita impaginazione, il solito detto-non-detto di ciò che si presenta.

- a. per dire che è quasi un anno di plan de clivage, indipendentemente dal count delle visite e dalla media che tutti, volendo perdere del tempo, possono fare. sono poche, e sono meglio poche e buone, e se non sono buone meglio, invalidate.

- a. per dire che sono stati due mesi di posting parco per mica tanto ovvii motivi (però fidatevi, sono ovvii per davvero), e che la frequenza tornerà mano a mano quella di prima

- a. per dire del piombo a specchio, ma anche qui già fatto, e comunque bravo m.m. 

- a. per dire di tutti i nuovi menù-colonnine-amenità grafiche impostate sul blog, ma è tardi e si leggono da soli guardando in giro per l'archivio.

- a. per ringraziare chi magari legge qui pur buttandosi con più comodità sulle ideologie di scrittura di certa poesia sul web. finché percepite le differenze, potete rendere un servizio anche ad altri.


d.b.

lunedì 13 febbraio 2012


d.b. e m.m. : misericardia (2010)


[prima: risultato a precedere la somma, una mano (o due) a testa (d.b. + m.m.)]


Come una reliquia di mare, il fuoco ai consanguinei
si consegna alla sbarra - dove altrimenti
si riducono le anse, si ammainano le ombre
fino al rintocco dei polsi, la trasparenza che rileva 
un calo eidetico, il collasso degli specchi d'acqua, la distanza
che ribalta il sangue, la polarità dei flussi.
C'è una persistenza dell'arco, un improvviso brillamento
percorre il binario della frattura: qui si avvita l'aria
percossa fra i treni e le banchine, indotta a un altro centro,
alla spina della voce. Niente sopravvive al vetro,
niente all'esplosione di una discrasia, e quindi una pioggia 
regolare prova l'autenticità del distacco, la fibra inosservata
per l'accrescimento; e allora misericardia,
misericordia delle gole - non altrove si avvera il crampo, 
l'accento del muscolo. Lo stesso niente
ora vibra, impatta il tronco, il palato della pagina.



*


[seconda: primo addendo (d.b)]


Come una reliquia di mare, il fuoco ai consanguinei
scioglie il sedimento; per lo stacco di un cristallo
si riducono le anse, si ammainano le ombre
che hanno lembi più vasti, sanno accelerare
il collasso degli specchi d'acqua; la distanza
di un accrescimento passi dall'incavo: intatta
c'è una persistenza dell'arco, un improvviso brillamento
che parla di una precessione delle stelle, di condensa 
percossa fra i treni e le banchine, indotta a un altro centro
come il fiato; non l'inciso, non la distorsione angolare,
niente all'esplosione di una discrasia; quindi una pioggia 
regolare, la pietra in cui passavano i nervi e le maree
in accrescimento; e allora misericardia, 
misericordia delle gole, se qui si vede il taglio che stende
la sua mano per segnare convalli, le baie in coalescenza.


*


[terza: secondo addendo (m.m.)] 


Questo buio è un difetto del corpo,
si consegna alla sbarra. Dove finisce il contatto
comincia un osso, la sporgenza esatta 
delle basi. Così fino al rintocco dei polsi
la trasparenza rileva un calo eidetico, l'onda
che ribalta il sangue, la polarità dei flussi.

L'ago testimonia il peso controluce, percorre il binario 
della frattura: qui si avvita l'aria
inclusa fino al centro, alla spina della voce. 
Niente sopravvive al vetro, al varco stretto
del fuoco. Perciò un calore uniforme prova
l'autenticità del distacco, la filigrana invalicabile.
Non sentiamo la pioggia, ma un'acqua minore,
una detrazione sintattica, quanto della linea
inaugura il tratto. Non altrove
si avvera il crampo, l'accento del muscolo. Lo stesso niente 
ora vibra, impatta il tronco, il palato della pagina.


giovedì 9 febbraio 2012


questa impropria matrice / d.b., 2011


cos’è quella cosa che se sta – immobile matrice – che permane squarciata in mezzo al ghiaccio – tiene una scia – riprende il largo – va a schiantarsi nuovamente – macerie che sorvolano un mare steso – appannato – ridotto a un filo che si estrae in superficie – come fa a restare sola – nell’alveo della propria noia – incapsulata – priva del guscio – dei flussi d’acqua costanti – al limite del rilievo – come denuncia scarto integrale – non somma che patisce l’intervallo o il calcolo – un collasso che rimane chiuso e limitato – penso a quanto ci limitano gli spazi – i metri delle incognite – il vertice che non conosco – penso a quanto si rimane con la fronte volta – alla distanza fra le due – considero con precisione le scie delle acque – che ora non sono più i flutti e nemmeno i fiumi rimasti intatti o dispersi – inviandosi segnali la notte – per accertarsi di consistere in acque – di poter volgersi verso – pregando un restauro dei flussi in direzione opposta – e se la somma precede l’altra somma – rimane minore o peggio uguale – costante – visibile soltanto al fondo – inghiotte sabbia di ogni tempo – crea un coagulo di stalattiti – oscilla verso l’alto – ed è così apparente la lesione – che rimane come sbrego nel suo esistere – contati gli sbalzi – nella certezza di un unico sistema indivisibile – ritorna intatta al proprio insieme vuoto – così una cosa impropria che rimane – torna a darci aiuto – svela il soffitto – la posizione della sorgente – la nostra abitudine a risalire in direzione contraria – quando è il verso a doverci preoccupare – che non si opponga al rumore – apparente e torrenziale – o al silenzio marino – ma che in definitiva continui a scorrere con la precisione della scia – prendendo il largo – verso i relitti dei fondali – nell’acqua stesa – resa piana – non più in grado di piegarsi – che di continuo scivola dalle mani ai pendii – questa pendenza che non si svela – che resta assente – per il solo fatto di risorgere 


 (testo presente nel fascicoletto TESTI NON ASSERTIVI – Libreria Popolare di via Tadino 18, Milano, 16 gennaio 2012, digicicl. in prop., diyfferx – m.g.)

lunedì 6 febbraio 2012


ricognizione del dolore (accoppia e incolla, rinvenimenti, cose prese pari pari e schiaffate qui, II)

Evento estremo ed ineluttabile dell’esistenza stessa, di cui rappresenta il lato oscuro, la morte, come nascita, matrimonio e tutte le date socialmente rilevanti, del resto, ha necessità di essere comunicata.

Il motivo è evidente a tutti coloro che, all'oscuro di un lutto appena accaduto anche solo in un’occasione si siano trovati a chiedere ad un conoscente “e mamma come sta, sempre una roccia”, oppure ad inviare corrispondenza alla gentile attenzione di soggetti, nel frattempo passati, da questa valle di lacrime al mistero dell’oltremondo.
Diffondere il mesto messaggio nei piccoli centri è di solito facile e diretto: gli annunci affissi lungo le strade, infatti, si leggono più che sui giornali, grazie alla loro immediatezza. Nelle grandi metropoli, invece, non resta che affidarsi ai quotidiani.Per ottenere un risultato pregevole e di buon gusto però, è indispensabile essere sobri e sintetici. Un necrologio non è un’orazione funebre, un testamento spirituale del defunto né tanto meno il ritratto del suo profilo morale, ma è solo l’informazione su di un decesso.
Questo documento rientra quindi nella categoria della “pubblicità notizia”, siccome è semplicemente un avviso, rivolto alla cittadinanza che c’ informa di una scomparsa.
In linea di massima sono sufficienti nome e cognome + luogo di morte e specificazione del soggetto che annuncia il mesto evento, il di più, secondo il sommo detto evangelico viene dal maligno (o dal cattivo gusto)
Il giorno 8 febbraio 1998 si è spenta
(serenamente/dopo lunga malattia)(La contessa, Prof. Avv… Et similiaCarlotta Isabella Necrofora Serbelloni Mazzanti Vien dal Tumulo (tuttologa, gufologa, poetessa macabra ed entreneuse al bar dell’angolo). Ne danno (la triste/dolorosa) notizia (annuncio) il consorte (marito) (inconsolabile/costernato)ed i figli (in lutto).
I termini “esequie” e “funerali” sono “pluralia tantum” ossia vocaboli derivati direttamente dalla lingua latina che esigono sempre la forma plurale, quindi non si dirà mai il funerale e l’esequia, bensì “I FUNERALI” e “LE ESEQUIE”
É buona norma riportare i dati della persona scomparsa in quest’ordine:
titolo accademico o nobiliare+ nome di battesimo+ cognome.
La consuetudine burocratica di anteporre il cognome al nome riesce oltremodo dozzinale ed inelegante, perché è tipica di un ambiente troppo spersonalizzato e tecnico, come appunto l’ambito amministrativo.
Il necrologio non è un atto di citazione in tribunale e nemmeno un freddo certificato redatto all’anagrafe, quindi, è meglio non ricorrere ad un uso gergale della lingua tipico di un commissariato di polizia, assieme a formule in stile pagine gialle di questo tipo:
Riccardelli, Dott. Ing. Gran Duca Guidobaldo Maria.
Se i famigliari del defunto, per celebrare i meriti del loro caro scomparso, voglio apporre a fianco del nome le onorificenze o i titoli conseguiti dal de cuius si opterà per di più alto rango o in ogni caso più sentito come intimo dal defunto.
Risulta, infatti, piuttosto pacchiano introdurre il nominativo della “cara salma” con una sequela interminabile di aggettivi ed appellativi di questo genere:
Illustrissimo, nonché Chiarissimo Onorevole e già Senatore Repubblicano del Regno d’Italia (??!), nonchè Professor Dottore Ingegnere, Cavaliere dell’acqua calda, non di meno Gran Farabutto, Ladrone di Stato ed in ultimo amatissimo Presidente della società calcistica Borgorosso football club + (finalmente) nome e cognome.
Forse la morte, nella folle competizione che caratterizza i rapporti sociali dell’era contemporanea, rappresenta davvero uno dei pochi momenti davvero democratici (nell’attesa del Giudizio Universale) della nostra esistenza, perché riguarda tutti, nobili o popolani, ricchi o squattrinati, studenti e docenti come spesso ci ricordano gli inquietanti affreschi della danza macabra.
É allora inutile infarcire i necrologi con simili corredi di titoli così barocchi.
Se la cerimonia di commiato prevede una sosta in parrocchia o nella cappella delle camere ardenti per la liturgia eucaristica in suffragio si scriverà, con precisione, nel necrologio, che la Santa Messa o la Liturgia Eucaristica sarà officiata o, ancor meglio, celebrata nella chiesa di XYZ. Altre formule di dubbia legittimità, invece, sono altamente sconsigliate. In altri casi (rito della “levata”, semplice preghiera al cimitero, funerale civile o d’altra confessione religiosa si ricorrerà ad una formula più vaga e generale come:
- “la liturgia funebre (o esequiale), la triste (o mesta) cerimonia, il rito funebre, la funzione funebre, l’ultimo (estremo) saluto, il commiato, i funerali, la commemorazione
Si terrà (avrà luogo)…
Tecnicamente non sarebbe sbagliato definire la Santa Messa o la cerimonia anche come “funzione funebre" (o religiosa), si tratta, infatti, di un’espressione più generale, di registro molto elegante, che comprende i diversi significati del termine “rito” ed è mutuata direttamente dalla terminologia ecclesiastica.
L’impresario di successo dovrà dimostrare di saper padroneggiare perfettamente questa terminologia così specifica, consigliando ai dolenti la formula più appropriata.
In caso d’esequie laiche si potrà ragionare, più compiutamente, di “servizio funebre”.
Se il funerale su svolgerà secondo il rito cristiano ortodosso non si parla mai di Santa Messa, bensì di Divina Liturgia.
La formula
“munito (o munita) dei conforti religiosi”
è legittima solo se al malato o al moribondo è davvero stata amministrata l’unzione degli infermi, assieme all’Eucaristia; dichiarare il falso, anche se per pietà ed in articulo mortis, non è mai segno di un animo nobile.
“S’è cristianamente addormentato”
è frase da utilizzare solo in caso di un defunto che, in vita, si sia distinto per una fervida fede o per opere di carità.
Stilemi quali:
“E’ tornato/a alla casa del Padre” oppure: “Si è addormentato nel bacio (o abbraccio) del Signore” ed in ultimo: “Ha chiuso la sua giornata (missione) terrena"
sono da limitare, preferibilmente, alle esequie di prelati e religiosi o, comunque, di persone, anche se laiche, caratterizzate, in vita, da una granitica fiducia nella cristiana speranza della vita eterna. Un’espressione simile, anche se più laica, è da ravvisare nella frase:
“ha terminato la propria esperienza terrena”perché l’allusione alla vita eterna è senza dubbio maggiormente sfumata e lascia adito anche ad interpretazioni più secolarizzate o disilluse.
La creatività letteraria dell’italica intelligenza, per una strana ragione, davanti ad un funerale non resiste, si scatena, rompe impetuosa gli argini del buon gusto e dilaga, spesso, su orribili, manifesti stampati con la complicità delle stesse imprese funebri.
Ecco un breve elenco degli stereotipi letterari o retorici assolutamente da rigettare:
1. Nipotini innocenti, ma mal consigliati dai genitori, che sbandierano la loro incrollabile certezza di riunirsi un giorno, lassù, con l’adorato nonno, su cirri vaporosi e candide nubi rosa degni del pennello dei maestri rinascimentali.
2. Signori che apprendono della morte di qualcuno “prima increduli e poi arrabbiati”. E ovviamente non si contano i “costernati”, gli “affranti”, e gli sconvolti (di vascorossiana memoria?). 
3. Campeggiano, poi, bellamente sulle pagine dei quotidiani le espressioni pacchiane di coloro che “chinano mestamente la cervice di fronte ad un decreto superiore e inappellabile”. (…)
4. Ci sono, poi, parenti ottimisti e indovini, nonché profondi conoscitori delle divine decisioni che invadono le cronache mortuarie, perchè sanno benissimo come, nel regno celeste, l’anima proba del diletto congiunto Guidobaldo Maria sia finalmente felice: e sorrida loro per sempre dalle vette celesti. Simili dichiarazioni così impegnative risultano forzature anche sul piano dottrinario. Solo in caso di bimbi, deceduti dopo il Santo Battesimo, è ammissibile questa certezza, supportata anche da argomentazioni teologiche. Per un neonato, sulla lapide o sul ricordino, si potrebbe addirittura apporre solo la data del giorno in cui è stato amministrato il sacramento del Battesimo.
5. Vi sono sterminate schiere di persone (…) che, pur non avendo alcun legame di parentela col defunto partecipano tuttavia della sua dipartita come se fossero il coniuge o il congiunto più stretto rimasto. Errore di bon ton: se non si è parenti si partecipa, se mai, al dolore della famiglia per il lutto, ma nulla di più.
Chi si accosti alla delicatissima arte dell’intessere elogi funebri, insomma, ricordi l’antico brocardo latino: “verba volant, scripta manent” ovvero la parola scritta è assai più difficile e compromettente rispetto al più volatile messaggio verbale.
Il necrologio ideale è dettato da eleganza e squisita compostezza, sono allora da evitare eccessive e spericolate licenze stilistiche, come commozioni esagerate e sentimenti gridati. Il necrologio è pur sempre l’ultimo saluto, non conviene allora degradarlo ad estrema buffonata per opera d’improbabili e sgraziati lirici. Nota della redazione: i nomi riportati negli esempi sono completamente frutto di invenzione, qualsiasi omonimia o riferimento diretto a persone reali è da ritenersi puramente casuale.

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Nota a margine: De cuius è una formula tipica del linguaggio “giuridichese” ormai assorbita dalla parlata quotidiana, alla lettera significa: persona della cui successione testamentaria si parla.

giovedì 2 febbraio 2012


cessazione (2010, ris. 2012)


resta chiaro nelle voglie attese io adesso non più tramite
di schizzi e ibernazioni impatti o lastre deformate io il minimo
richiesto dalla veglia la filtrazione dei modi di dire presa
dai rimasti appesi agli scaffali io ricompone rotture vasi
aperti mancando di saliva sempre troppa quella per bocche
e bocche aperte richiuse avvertendo il pianeta andarsene
da un'altra parte muovendosi da lingue opposte provate
sempre dalle correzioni stanche e adesso esposte
a un solo attacco assiderate nel coagulo freddo i luoghi
io io non c'è se non per l'esistenza dice io se qualcuno
non si volta eppure prova a rimanere io che lascia
una fortuna per un tipo di contagio io che non teme
l'insicurezza la porta aperta il gas lo lascia ad esalare
il comando di io è perfetto e inderogabile non fare niente
di quanto detto non più decidere soltanto per qualcuno
che io salta tirando via tutto diserta una riunione o l'esercito
lascia il banco vuoto attende una risposta e chi ancora io
mantiene l'ordine chiede di andare non timbra il cartellino
io provoca l'ammutinamento prende la mira o il manganello
inscena una rissa o sparatorie lascia fare aspetta io si vede
io che non si vuole arresta io per poi voltarsi non sparare