why am I such a void
dissolve, non come principio, il punto elementare
nel segno che dà spazio, linea e negazione: indica la spunta
e manca il tutto, a differenza dell'umano, nel fine,
e poi "non sa più fare una richiesta", che è molto di per sé,
"se vuoi", si dice. "dove stavano all'oscuro", dentro
il parallelo, prova e trova posto, inoltra e manca appena
riesce a superarlo, per non più vedere, ripete, "per non vedere,
più che altro" e poi riassembla, esercita gli altri nel molteplice
dal mezzo reso minimo, ridato a una coscienza lunga e vuota,
e quanto stalla, o serve infine a farne fuga. "chi si ricorda,
termina da vivo," ed è caduto, concede e si fa grande, pena
nell'ipotesi di fine. la corrente adesso attiva sovraespone
e approssima il restante come dato, prende luogo nel processo,
va a recidere l'alberatura che dai nodi tiene il vertice, riporta
alla via centrale, simulando scopi, e lei, "tornata su se stessa"
in conversione estrema, al metodo di un nulla amico
e familiare: quando il dato in migrazione porta nello spettro
e si va a perdere, facendo meno suono a mano a mano
che ripete e decodifica la sua parlata come oggetto,
che non sa, ed è fuori dalla stregua: l'elemento di frase
concorda, finalmente, ed è così che è reso muto, si riduce
all'anteprima, esiste, ancora, si apre in sola lettura.