magari
non tutta, magari solo un bicchiere, che sembra una miseria ma vi
sbagliate, un bicchiere è, de facto, un ingrandimento dell’acqua,
l’acqua messa a fuoco, un primo piano, un particolare, un’acqua
al dettaglio e nel dettaglio.
oggi
ad esempio c’era un rubinetto, e non bastava girare, serviva
tirare, spingere verso l’alto. l’acqua si creava cioè senza i
giri, senza accartocciarsi, ma con uno slancio cervicale, si
inarcava, si levava come se non potesse esserci acqua senza un
soffitto a custodirla, come se il soffitto fosse per l’acqua un
garante, come dio per l’etica, o per meglio dire un nume tutelare.
le macchie d’umido.
in
tutta onestà, io non so se ciò che ho visto, oggi, immediatamente
dopo lo stacco e i giri, è l’acqua, davvero l’acqua, o se invece
è un bacino, la stanza premuta in una conca, una lordosi del piatto
oftalmico, un accerchiamento olografico, una saturazione di ciascuna
cosa ma come dall’interno, un embolo o ancora il sonno, che è una
bolla e non si smentisce.
sta
di fatto che: l’acqua non si può vedere, ma solo avvistare (e
avvitare, nel più fortunato
dei
casi: pensiamo proprio ai rubinetti) e a maggior ragione oggi, che
ciascuna america è stata scoperta e nessuno grida più “terra”.
questa
non è solo l’acqua di oggi, ma un primo modo di estrarre l’acqua,
che diremo “parabolico” e che sprigiona quasi un’acqua-vapore,
che si sviluppa in altezza, un’acqua- boa (sia serpente sia
galleggiante) e conclusa in se stessa, perfino autoreferenziale,
autarchica, indipendente, un’isola; un’acqua-uovo ermetica, a
tenuta stagna, liscia e impermeabile, capace di almanaccare il mondo
tubo per tubo, uno stato sovrano, un potere centrale e un taglio dei
ponti, la ragione intima di ogni embargo, un’acqua gerarchizzante e
giurista e giurata, come un nemico o una promessa, infine costitutiva
e,
quel che più importa, integra.
coi
lavabi e le manopole, comunque, non abbiamo ancora chiuso. (all’acqua
vera e propria, invece, arriveremo solo in un secondo momento).
abbiamo trattato l’acqua verticale, l’acqua analoga alle travi,
etc. va detto che a volte succede il contrario, succede che uno debba
spingere verso il basso, esercitare pressione (un po’ come accade
per il gas), esercitarsi fino all’acqua.
primo
avvertimento: per l’acqua occorre allen(t)amento, non si può
arrivare all’acqua impreparati, poiché l’acqua è liquida ma
inflessibile e ci ripudia. non c’è un secondo avvertimento.
questo
è un secondo modo dell’acqua, ed è una sorta di pantano, è una
condotta più goffa, impacciata, pesante e in qualche modo enfatica;
è un’acqua che esaspera la sua uniformità, la tende e la dilata
finché non diviene lentezza.
(un
capitolo a parte, invece, meriterebbero i materassi ad acqua, che
usano cioè l'acqua come carburante per innescare il sonno, e a dire
il vero non si capisce dove finisce l'acqua e dove comincia il sonno,
sicché il rischio è quello di dormire l'acqua, e non riesco proprio
a figurarmi, a quel punto, cosa potrebbe succedere. forse il mare. di
dirac).
dicevamo
che non è possibile comprendere l’acqua, che l’acqua è
insolubile, e non parlavamo a sproposito: nessuna abduzione, ma
piuttosto abluzione; bisogna essere sommozzatori, non logici. mi
vengono in mente, anche, le acque gemelle di putnam. una “semantica
dei mondi possibili” fradicia – ma forse queste acque sono fin
troppo estrinseche, forse qui c’entra davvero il riferimento
sganciato dalla comprensione – era per non citare proprio talete.
veniamo
all’anatomia dell’acqua. l’acqua è quella pellicola, quel
diaframma che si frappone tra noi e il mondo e che non è il freddo,
o almeno non del tutto. questa si può dire, a ragione, una buona
approssimazione dell’acqua.
(la
differenza principale che sussiste tra acqua e freddo, e che ci
permette di distinguerli con discreta precisione, sta nell’evidenza
che l’acqua può essere “aperta”, “chiusa”, “messa”,
“controllata”, “buttata”, “tirata” – a me è capitato
addirittura di “stringerla”, magari al petto – mentre niente di
tutto questo può essere fatto al freddo. abbiamo dunque sull’acqua
un margine di intervento, di partecipazione che col freddo ci è
invece precluso).
vogliamo
essere più scrupolosi. vogliamo andare a fondo, vogliamo affondare.
chi tra di voi si è mai imbattuto nell’acqua allo stato
“selvatico”, se così si può dire; chi ha sbirciato l’acqua
anche una sola volta, anche di sfuggita, sa che ai lati è squamata,
che normalmente ha la forma di una spirale e quando e dove finisce si
nota distintamente una coda.
se
invece l’acqua è bloccata, allora si compatta, si infittisce,
sigilla le scaglie, si contrae, come in preda a un crampo, si carica
a molla e sembra sul punto di esplodere da un momento all’altro.
a
lasciarci sbigottiti non è mai il contenitore ma il contenimento,
questo accumulo impensabile di (es)tensione che si eterna, oserei
dire si tramanda, e non si scompone davanti a nulla, neppure ai
nostri pigiami a righe, ai nostri spazzolini sciupati, ai tubetti
colgate, e viene da pensare quasi a una dignità dell’acqua, a un
portamento, un contegno. (l’acqua, almeno quella nelle bottiglie,
ha un’etichetta vera e propria, fateci caso).
non
è in discussione.
se
è vero che noi possiamo passare sopra all’acqua, possiamo
attraversarla o sorvolarla, occuparcene o ignorarla, è altrettanto
certo che l’acqua non passerà sopra a noi, non farà finta di non
vedere, e se non laverà (che è altra cosa da “levare”, è più
“tirare a lucido”) le nostre colpe, non è detto che voglia
graziare anche i nostri capelli.
barare
ma fuori dai giochi, muero porque no muero, quello che l’universo
sarebbe stato senza il cedimento della creazione. la cosa peggiore,
infatti, è quando le acque si rompono, improvvisamente plurali,
divise, faziose, quando si scuce la falla e cede l’ordine, il
criterio dell’acqua, ed è allora che accadono le cose più
terribili.
più
precisamente, il bastione, l’avamposto da cui irradia i suoi
tentacoli. non ci tocca, neppure ci sfiora: diversamente, ci
sovrasta.
non
so se credete ai mostri marini, o almeno al calcare, ma sappiate che
i tubi servono proprio a questo scopo, a proseguire la morte come un
discorso. a permetterne anche un deflusso, una scappatoia.
controindicazioni:
se noi chiamiamo l’acqua, ecco che quella arriva, ma in cambio
pretende qualcosa, e non si tratta di una contropartita alchemica,
equilibrata, si tratta ormai di un ricatto (non tratta, è un tratto
caratteristico, niente trattative) poiché l’acqua è assetata di
conquista, è imperialista, tende a occupare tutto lo spazio e
nessuno può assicurarci che un giorno non reclamerà proprio il
nostro.
niente
abissi, però. l’acqua è proprio una forza opposta agli abissi,
una tensione del tutto superficiale, l’acqua è anzi sfacciata, è
tutta in superficie, sta in alto, più in alto della terra.
abbiamo
preso le nostre contromisure, abbiamo argini, grondaie, canali di
scolo, questi tentativi laterali di formare fermare l’acqua, di
educarla, disciplinarla, di iscriverla nel piano cartesiano, di
cavarne una geografia leggibile. non sto dicendo la forza della
natura, gli uragani e pompei.
sto
dicendo, piuttosto: distrazione, non distruzione. l’acqua
sostanzialmente passa, e così noi. non si ferma e non si sofferma,
non indaga e non studia. non si muove dal letto e non va neppure agli
esami. sempre come noi.
non
pensiamo, in questo modo, di aver sciolto o sezionato o illustrato
l’acqua (ma giusto un abbozzo, uno schizzo), perché l’acqua è
inestricabile. non pensiamo di averla esaurita. ma un sommario, un
indice.
perché
si potrebbe pensare altrimenti, si potrebbe pensare che io sia un
acque-dotto.
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