dérobées; qui déjà, décontenancées par une lente oxydation,
et mortifiées par le retrait de la sève au profit
des fleurs e fruits, depuis les grosses chaleurs d’août
tenaient moins à eux."
I
- gli alberi si disfano in una sfera di nebbia, si flettono/coniugano, si declinano (lemme lemme lemma a lemma mano a mano meno a meno)
- (le spire dei morti sotto la lente, adulterate, a soqquadro, qq, logos)
- (scompaginate, le pire dei morti, buttate all'aria, rogo)
- e la radura non è forse questo diradarsi capovolto, dove a scemare sono le cose in prima persona, dove dalla nebbia si deducono, si decurtano le cose
- o ancor meglio questa sovrapposizione, poiché se la nebbia è davvero
- nebbia i margini si sfaldano e l'approssimazione non è più un difetto di calcolo ma un attributo, una proprietà delle cose stes(s)e?
- (se l'esistenza non è dunque un attributo logico ma davvero uno scontro a fari spenti, un sentiero bruscamente interrotto, il pathos - che solo successivamente si articola e predica in angst)
II
- è forse nel niflhel che si accorcia (si risolve?) la distanza tra "ist" e "seyn", dove a mischiarsi, a combinarsi sono: la finitezza e l'indefinitezza, la morte come tara e come veicolo di possibilità, il compasso e il kairos (la vaghezza, l'imprecisione che è una gamma, un'anticipazione dell'infinito),
- infine kenosis, lo svuotamento, il nucleo pneumatico delle cose, il pro-getto, la pressione che finalmente sfiata da un varco, la nebbia che si sprigiona dalle cose come il destino esala dal passato
- kenosis che è anche svestizione e investitura e lo è in corsivo amici a casa, ricorsivamente, nel decorso: deposizione dell'intelletto (habitus primorum principiorumm speculativorum), inadequatio rei et intellectus (un imbarazzo, un inconveniente - a momenti)
III
- (solo quel dio di malebranche, tanto indolenzito)
IV
- a tamponare la falla interviene questa nebbia ampia, additiva, così affine all'acqua (cfr. mania di occupare tutto lo spazio)
- (non fosse che l'acqua deforma le cose e in certa misura le svergogna, mentre la nebbia quasi le nasconde, le custodisce).
- l'angoscia è sì una prima,
- diffusa articolazione del dolore (che ha sempre un soggetto, sub-iectum, e cioè una vittima), forse il balbettìo ultimo e fondante
- comunque voce tremante nella notte - ! voce, non parola !
- lo stadio seguente non è certo
- la paura (resta il soggetto e si aggiunge l'oggetto, di volta in volta ben definito ma contingente), bensì la malinconia
- mal-iconia | un male iconico, originale, un totem
- altro non è se non la trascrizione di: lo sbilenco tratto della morte, la sua stesura, il suo schieramento sintattico.
- l'angoscia non può restare equanime,
- a un certo punto l'uniformità si irrobustisce, compatta, inventa un volume, un corpo,
- si indirizza verso la morte, che è come l'allegoria terminale, il bando(lo) della matassa
- una dialettica rettilinea. non il circuito dell'eterno ritorno, non la verità ricurva, genuflessa quasi, uncinata di nietzsche
- nella morte si raduna la condensa dell'angoscia, prende forma
- restituire qualcosa da un angolo all'altro della stanza, rimpallarsi gli occhi murati, le orbite (o anche una sola - un'orbita sola, ellittica)
- qui
- si apre il vero e proprio campo di battaglia tra il niente e l'ente, tra esente e essente.
- l'ente è cosa nota
- l'ente è riducibile all'essere tanto quanto è riducibile al niente
- forse l'ente non è riducibile, ma è l'unità minima
- allora riconducibile
- di più: l'ente si svela come tale tanto nella sua alterità dall'essere quanto in quella dal niente
- di più 2): non si capisce, dunque, se da questo scontro/incontro l'ente ne esce impegnato o esonerato
- (volevo dire anche dei tre momenti del tempo a partire dall'angoscia - chronos, aion, noia - o paraggi. non se ne fa nulla)
- io dico di no, dico esonerato. ad ogni buon conto
Nessun commento:
Posta un commento