lunedì 4 luglio 2011


per completa inefficacia

guardarsi la faccia - c'è chi ti obbliga e anche
se fosse, a fare - e spesso io ci credo perché
assurdo, in quanto non è solo un piano per sviare
l'attenzione, ordito non bene, sfilacciato apposta
da un autore in assenza, e anche quando non,
in silenzio remissivo - dal sopracciglio al naso,
il punto centrale - e anche se fosse, a fare,

con molta pena, qualcosa - se nonostante
tutto il proiettarsi delle ombre, di ciò che viene
mosso dietro ad una luce, neppure pensarsi
in grado di interagire - prendere seriamente
a schiudersi le palpebre - molta pena, qualcosa

che sia irrilevante, anche se, magari - mentre
pare che il tracciato minimo dell'universo non
passi per il sottosuolo ma assomigli al bastone
con cui si trova ogni giacimento, per una scienza
viva e rivoltata nel proprio tremore - flettere
le mani dagli occhi verso terra - se, magari

dico, poi ritroviamo, raccogliendoci - le ossa
rimangono così, sono le stesse, per tutti. sempre
proviamo a fare questo, tenendoci a cucchiaio
per raccogliere qualcosa, anche la posizione
eretta che non segna un'eventuale specie, anzi,
è la postura che porta ad incurvarsi, o stringersi
- le dita schermano il sole, la luce marca le vene
e tutto ciò che non si vede - dico, poi ritroviamo,

raccogliendoci, le nostre storie - e c'è un'unica
cosa da fare, e che non serve, non cambia niente,
nulla cambia niente, ma in fin dei conti, riprovare,
oscillando, tentare ancora un parola poco certa,
perché fuori da un tutto che illude si ritorni un po'
a sospendere il giudizio, guardarsi più in faccia,
anche solo per completa inefficacia di ogni cosa.

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