recito piano la riga dov'è squarciata pensando alla carta
che si rompe se gira, e gira, e gira, e gira ancora, se strizzando,
se le mani degli altri non ci fanno caso, se capita un altro
problema agli occhi, se vedi che strizzando la voce si perde
contatto, tramite col mondo, con gli occhi riposti e chiusi,
con il testo che non si è fatto ancora vedere, con chi ascolta
che è ancora lì, mentre circola la noia, non è chiaro l'intreccio
che fa a pugni con l'esterno, e se così, parlando, si allude
a qualcos'altro, a un paradosso, magari, se stiamo parlando
puoi vedere come tutto gira, se gira ancora, e gira, ci costringe
ad indossare occhiali, a lasciarli fluttuare su sfondi più chiari,
se la vista gira e vuole convergenza, se dicendo piano la riga
o il verso appena ricomposto, con la vista che rigira le cose,
se gira e gira e finisco ad aver paura dei gesti con cui rovescio
sempre tutto, del mio non saper mettere insieme ciò che prima
ho trovato capovolto, con la testa sott'acqua, il testo annegato
e il suono come di corpi che risalgono in superficie, se strozzando
l'accesso della voce farei del vizio una cosa che non si redime,
che se può gira assieme alla visione, oltre il corpo imbevuto, gira
ancora e si rompe, guarda verso il centro dello sbrego, mentre
il detto si attacca sulle palpebre e se gira non può cominciare
Nessun commento:
Posta un commento