le arcate che formano cataste, in giro, prendono il posto
del vento nell'immaginario e questo vento che le include
assume la vista orrenda del corpo che rimane
pensando
alla parte che preme, nel corso della notte che si prega,
che tu vuoi pregare, un'anima che può venire ammessa
solo se si stende, e poi rannicchia, salta per non cadere,
per non lasciare segni
pensarci un poco prima, per voglia
sottile, che non si deve, se c'è, che ora si riveste un poco,
per tutto il resto che si muove, tenere separato lo sterno
dall'ora del giorno che interpone
pensa al corpo, a quello
che non si stende, non se ne va in giro, meno cavo
per biologica inserzione, meno intimorito dalla formula
che esenta, giustifica. l'occhio se ne sta lì
penso che forse
il corpo lo tocchi piano sulla faccia, oppure l'una o l'altra
delle tempie, o il cranio che tiene ancora tutto dentro,
esorta a che le mani stiano insieme
a pensare almeno
un poco, urtandosi per produrre il soffio che schiocca
sul torace, resta intatto, non si perdona perché estinto
ma si chiede dell'adesso, dell'espirazione, della colpa
e torna alla domanda, finalmente c'è, non è rimessa
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