al collasso di
ogni metodo, freno
sulle macerie prima, nella vista sdoppiata
dai rilievi
verso il basso:
sono cieco
proprio per gli occhi
come l’indio in
carrozzella, a cavalcioni
delle scale,
giù per il treno,
cartello in
mano:
eppure, di tutto per
ritrovarsi
di nuovo allo stesso punto
d’arrivo,
distinti dalla prossima
chiamata;
un po’ più avanti, un
fischio e
la chiusura delle porte e
poi
[tiro lo sporco
dall’interno all’esterno (uno strappo,
o
il leggero scivolare di un panno): pulire
per
quanto ne esca fuori, dopotutto, e quanto
rimanga
nascosto, inaccessibile]:
e poi converto,
nel senso di convergere
al punto, al
passo segnato, ascolto
con l’orecchio
alla fessura: dai denti
la banchina è
un tempo morto,
un cavo a
uscire dalla bocca;
presa diretta,
una specie d’attesa:
io, il
fotogramma successivo dall’inoltre
all’ultimo
segnale, autoritratto rivisto
e invisibile
agli schianti precedenti:
cuciture
come l’andare indietro e dove?
immagine
che esiste ora, e forse e poi
e
poi un secondo almeno,
ancora
fino alla prossima presenza
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