gridano alle macchine la loro devozione, poi si danno
forza e foga per motivi di deissi: prendono le parti
indirizzate e poi colpevoli, contratte a generarsi
una sull'altra. la voce che sentono è la tua, costretta
a uscire dai ranghi del muro occidentale, dito che scatta
sul serramento, stando fuori dai legami. sarà tutto domani
e poi, se non risulta, se indicato a mani aperte, confermate.
se tocchi questo muro, se ti tocca di varcarlo tolta l'acqua
nera dalle fenditure sarai parte violenta e presa dentro
o sotto il nervo, base sacrale prima, poi sacra, sternale
di una cosa riparata. un giorno guardi e vedi e guardi
ancora e il giorno appare rivoltato dalla linea infetta
che si muove, che segue la propria veglia in fitte,
arrampicate che sorvolano gli estremi, i varchi sfigurati
nella rete. un giorno guardi e vedi e il giorno si ricorda
della propria lussazione, della luce sotto o dentro
questa curva che diventa il gomito, un bene che si spezza
o che si spezzi e trovi forza per mostrarsi dall'interno,
a tocchi e brani estratti dai fossati, stecchi, mancanze
della voce poi nei sacchi aperti che raccolgono quei resti,
rimasti che saranno frange, poi distratti da altre arcate
in cui rimane questa lingua che si stacca, poi parlata,
dopo, se c'è un dopo, o andata, per davvero, altrove.
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