domenica 25 dicembre 2011


clivage (2010)

il richiamo, la coazione a ripetere
dei farisei; le percorrenze, la curva
e lo sbrego nello schienale, i fogli
delle prescrizioni feudali, gli ovuli

infiniti, di fibra in fibra: la ferocia
che dissipa il calco, l'avantreno,
lo scarto pneumatico di un solco
monocorde, scollato, all'asintoto


- il rasoio di Occam, l'indicazione
da fraintendere, l'accorgimento
ripreso al suo contrario -

una firma numerata per lo scavo
delle mani; gli accidenti del canto,
le spallucce degli altri, il contro
vento che porta a farsi bastare

il mozzicone: il porfido acclarato,
la cordatura del mondo, presa
allo slancio, concessa alla parte
del dileguo, attesa all'amnesia

martedì 20 dicembre 2011


la cruna (2009)

al collasso di ogni metodo, freno
sulle macerie prima, nella vista sdoppiata
dai rilievi verso il basso:
sono cieco proprio per gli occhi
come l’indio in carrozzella, a cavalcioni
delle scale, giù per il treno,
cartello in mano:

eppure, di tutto per ritrovarsi
di nuovo allo stesso punto d’arrivo,
distinti dalla prossima chiamata;
un po’ più avanti, un fischio e
la chiusura delle porte e poi

[tiro lo sporco dall’interno all’esterno (uno strappo,
o il leggero scivolare di un panno): pulire
per quanto ne esca fuori, dopotutto, e quanto
rimanga nascosto, inaccessibile]:

e poi converto, nel senso di convergere
al punto, al passo segnato, ascolto
con l’orecchio alla fessura: dai denti
la banchina è un tempo morto,
un cavo a uscire dalla bocca;
presa diretta, una specie d’attesa:

io, il fotogramma successivo dall’inoltre
all’ultimo segnale, autoritratto rivisto
e invisibile agli schianti precedenti:
cuciture come l’andare indietro e dove?
immagine che esiste ora, e forse e poi

e poi un secondo almeno,
ancora fino alla prossima presenza

lunedì 19 dicembre 2011


d.b. su lettere grosse #05 - diyfferx, dic. 2011



(un ringraziamento a Marco Giovenale per avermi ospitato sul suo lettere grosse. d.b.)

cadenze mediane

e così è come segue, l'azione è prevalsa. 
può accadere che si restauri, che avvenga di tornare indietro, che si sia una facciata sulla prima visione del tempo, un tempo, se si parla sapere in vigore nei secoli passati. 
dallo studio riposa, inerte, anche se ora si tiene al gioco. l'ama. non sa bene chi.
così sono i maestri. chi con i ciechi tenta il volo dal baratro, suona quello che ha, danza per abitudine. 
ora si discute, un tempo, lo studio tramutato per i colpi, con gli occhi che lo avvisano del pianto. 
perché a me, con questa trama, di questa contrarietà, attirato verso il trauma, sembra così.
non so se è come segue, non so come si legge. 
chissà cosa mi trovo davanti. ma cosa vuoi che abbia.
tu ce l'hai proprio lì, ce l'hai in fronte, non so bene come fosse, in precedenza.
rimane uguale alla nuca, al giorno, a questo giudizio incostante. 
so che per non dire invano, per non dire invano, non potrò appellarmi.

sabato 17 dicembre 2011


la bouche en zéro

è l'ora - qualcuno che sta a mani giunte - si mescola con gli altri - se si verifica - davvero è facile - dunque sono ancora così legato a - con la bocca sullo zero - ha preso ad incepparsi tempo prima - come lingua che si tiene adorna - i fiori di fiori - nella preghiera che chiama loro stessi a testimoni - chi adorna la sua preghiera - i fiori che non sanno sollevarsi e si chiamano - in questo spasmo - chiamano se stessi a testimoni - facendo cerchi - piroetta - le coppe piene - che sembrano loro stessi - a testimoni - fontane più d'oro - il raggio che ha preso ad incepparsi tempo prima - i fiori sui fiori - che chiama loro stessi a testimoni - con il corpo bucato - chi fa cerchi sulla sua preghiera - che non sa sollevarsi e si chiama - chiama se stesso a testimone - sul raggio - pensando un po' a morire - sul cerchio puro - come lingua senza febbre che si tiene - che si adorna - e puro inalterato - e rivela a questi occhi - che chiamano se stessi a testimoni - rivela a questi occhi - se si verifica - la bocca sulla bocca - che sembra solo se stessa - che non sa sollevarsi e chiama - un sufficiente cuore scavato - come lingua febbrile - il fiore che si chiama a testimone - rivela ai miei occhi - qualcosa - se c'è un presidio - che chiami se stesso a testimone 

giovedì 15 dicembre 2011


special protocol 34 (come annichilire il pianeta terra in 17 semplici passi e 200 testate nucleari, mica i sacchetti di nylon della minchia)

1.1 Special protocol 34

1. Static targets are identified and prioritized;

2. authorization xk-beta is received from the bridge;

3. compressed anti-helium is transferred from shipside containment to short-term internal containment in the special issue bombardment missiles;

4. all forward rail-launchers chambers are loaded with long range gamma-laser missiles in positions zero to three and with special issue bombardment missiles in positions four to seven;

5. power is rerouted from all non-essential systems to the forward rail-launchers' capacitors;

6. authorization xk-logik is received from the bridge;

7. the first four volleys of missiles are launched with standard flight profiles;

8. modal sensor relay is activated and all available sensor buoys are deployed;

9. final authorization xk-refrain is received from the bridge;

(a) Attack pattern G

i. the remaining chambered missiles are ripple-fired to exhaustion;

ii. coordination priority order: fratricide avoidance, minimum flight time, opportunity targets;

iii. remaining point-defence submunitions are reconfigured for groundburst and expended on the primary target;

iv. the primary warhead is triggered by containment failure on impact.

(b) Attack pattern M

i. four more volleys of missiles are fired;

ii. coordination priority order: minimum flight time, opportunity targets, fratricide avoidance;

iii. remaining point-defence submunitions are expelled and retargeted for secondary targets;

iv. the primary warhead is triggered remotely on reaching the target coordinates.
___________________________

(cari amici,

se siete riusciti a lanciare il vostro missile come il cristo comanda e a polverizzare una o più nazioni in nome del sacro fuoco di thule - anche se di bombardamenti orbitali si tratta, ma facciamo che avete la mira un po' imprecisa - lo dovete all'amico mio Duccio, che ringrazio per aver pensato e steso questo catalogo della distruzione - tecnicamente ineccepibile, provare per credere, la polonia sta lì apposta ma se avete la mano ferma magari mirate a jovanotti

/m)

mercoledì 14 dicembre 2011


giuliano mesa, tiresia, oracolo II. piromanzia. le bambole di Bangkok



Oracolo II, From Tiresia by Agostino Di Scipio and Giuliano Mesa, fragments from the video for live performance by Matias Guerra



TIRESIA

oracoli, riflessi

(22 luglio 2000 – 24 gennaio 2001)


II. piromanzia. le bambole di Bangkok


fumo. nugoli, sciami di guscî neri.
bruciano le mandorle degli occhi, le falene,
le dita piccole e incallite, le mani stanche, stanche.
bruciano, scarnite, a levigare guance,
i guscî gonfi delle palpebre
che si richiuderanno.
fumo portato via, che trascolora,
che porta via le guance, paffute, delle bambole,
le anche dondolanti, a fare il movimento di ripetere,
in altalena, in bilico di piede, che lenisce,
gioco che non finisce, mai,
che non arriva, mai,
tempo di ricordare, dopo,
di ritornare dove si era stati.
a fare il gioco del silenzio,
nel preparare doni, meraviglie, a milioni,
passate per le mani una ad una,
per farli scintillare, gli occhi stanchi,
tenerli aperti, sempre,
e quando arriva il fuoco, che sfavilla,
ecco, giocare a correr via,
gridando, ad occhi chiusi.

tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno.




(testo integrale edito da La Camera Verde, 2001)

lunedì 12 dicembre 2011


t-reich


"[...] Bestie, ma nulla di bestiale resta
negli occhi dove passa disarmata la pena
di una specie destinata all'estinzione.
Il grande silenzio del sangue
pesa su questi orfani del futuro
e li fa tristi animali da congedo,
belve della malinconia, creature agoniche. [...]"

UN CAZZO. ridefiniamo il concetto di estinzione.

venerdì 9 dicembre 2011


capsule di secessione

< considerando che non è stata ancora aperta la bara
> la bara italia e va bene se si pensa a quanto accade 
< se sei gol in mezzora e poi un pacco bomba nella sede 
> di una banca possono influenzare la fondamentale
< attuazione delle norme o meglio il fatto necessario 
> l'idea per intensificare questa crescita una misura 
< necessaria e urgente ai tre operai sui tralicci 
> della centrale un occhiolino di troppo evoluzione
< verso una sedicenne che non vuole abortire 
> e si profila un fallimento accusato di stupro ai danni 
< di una cameriera e va bene se poi è morto il cane 
> più anziano al mondo e si sviluppa un rogo
< nella casa di cura dell’anziana ringraziamo ora 
< e sempre una maggiore disciplina finanziaria 
> una misura necessaria e urgente quando gira 
< in positivo la gran parte delle emissioni mondiali

lunedì 5 dicembre 2011


ricognizione del dolore (accoppia e incolla, rinvenimenti, cose prese pari pari e schiaffate qui, I)

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giovedì 1 dicembre 2011


reposting: arsemicosis 15 (verso il cadere, 2009)


(con nastro di tela isolante ricopro il tavolo
nel bordo al suo posto una pezzuola azzurra
e foglie verdi ritaglio di un vecchio lenzuolo
noi bambini in cui la notte si scopre sempre
un confluire di arti serrato oltre al limitare
il periodo di quell’occhio schiuso a superfici
sbarrate lo scatto raro e inerte delle retine
il perché di una miopia totale che cancella
il più possibile e dimentica in fretta senza
conservare i suoi brandelli i suoi colori)

martedì 29 novembre 2011


reposting: arsemicosis 12 (moto primo, 2009)

non vinci ancora la mia voglia di fare questioni
né la tua a perdere le irrilevanze quanto basta
in questo che ci chiude e ci fa semplici sguardi
e chiavi lasciate di nuovo su tavoli all’ingresso
mi sento quasi dal balcone dal soggiorno dove
fino a quando è il caso che qualcuno non bussi
apra e ci venga a vedere e se è rimasta la pila
dei piatti presi da lavare la cubatura più lunga

come mettermi le mani al collo che è un cuore
riflesso dal portone per vedermi e ancora puoi
ed è possibile entrare e non avvertire nessuno
l’appoggio sul collo sopra vedermi aprire sotto
il cuore dalle dita sulla giugulare sono balcone
e il tuo soggiorno se non ci sei nell’impossibile
non qualcuno quando bussa forse l’impossibile
è proprio entrare di mani di collo cuore vedere

lunedì 28 novembre 2011


scopri il commerciante

in breve: si tratta di un gioco di prestigio dove spesso un amico a caso, a casa, magari non a casa propria, viene usato per bere. nel senso che viene usato lui e lui alla fine sta male. poi però ci si lamenta della mancanza di organizzazione e fornitura alcolici. può essere giocato soltanto da più di due persone, per via dell'abitudine a essere retti dall'alcool, l'abitudine a non essere retti, dunque. il nome si riferisce praticamente alla fine del gioco, nel senso di essere riferito; prima nessuno si immaginava che il gioco avesse un nome. tutto questo accade quando la maggior parte delle carte sono state usate per pulire gli alcolici rovesciati sul tavolo e i giocatori stanno per scoprire facilmente il piacere di appoggiarsi al bancone del bar, indovinando quali fra le carte sono rimaste immuni dalla degenerazione delle usanze giovanili. ti serve un mazzo standard da cinquantadue carte, se non ce l'hai uno di quei terribili mazzi regionali in cui tra denari e coppe, cappe e spade, spade e bastoni, pummarole e coppe, ditate, cenere frammista a sangue, bordi anneriti e sogghigni malefici dei figuranti si sono fatte lunghe le giornate, oltre all'usura maniacale e senza rimedio delle ribattute sui tavoli. poi ti serve l'alcool, ma già l'abbiamo detto. il commerciante, figura ignota in quanto sconosciuta al nostro regime fiscale, tiene il banco delle carte, e i giocatori devono indovinare ogni volta qual è la carta indicata dal dito tremulo dell'amico. se la prima risposta è corretta, un complesso meccanismo pompa nel cavo orale del malcapitato un getto di alcool a novantasei gradi. se è errata, il giocatore indica di quale morte vuole morire. se il commerciante indovina la pena, allora il partecipante viene messo alla gogna fuori dal locale con la testa incastrata fra i panettoni di cemento. se invece il commerciante sbaglia, allora rivela la propria identità al mondo ed è costretto a far scudare i propri capitali all'estero. dopo che tre persone di fila indovinano il valore del capitale scudato dal commerciante, lo accompagnano a costituirsi.

venerdì 25 novembre 2011


reposting: arsemicosis 7 (la superstition scientiste : 1. le égout)

Non ci sono più ostacoli per la tua iscrizione all'università. Ritengo sia fondamentale, per la competitività di un mondo senza ostacoli in generale, libero da comunità di studio e cultura italiana per stranieri e da italiani che hanno fatto la storia, la messa al bando della cultura umanistica in favore di un altro stato sociale, soggetto integralmente al sacro fuoco della scienza. La qual cosa consentirebbe di abolire, sparando nel mucchio e facendo considerazioni a caso, anche la letteratura, la corsa a ostacoli, il lancio del giavellotto e la psicanalisi, lasciandoci in contemplazione di curling, neuroscienze, dressage e microbiologia, che consentono di minimizzare errori e produzione di scorie. Non ci sono più ostacoli per la tua iscrizione all'università, certo, ma la gente non si rende conto che la propria vita cambierebbe in meglio se si iniziasse a fare un lavoro di ricerca relativo, ad esempio, al sistema di gestione delle fognature e degli insediamenti produttivi delle nostre capillari cloache giornaliere, invece che dedicarsi a certe fesserie come ad esempio la scrittura.
Di fogne ce ne sono di più e di meglio rispetto a quanto si pensi. Prova è che non si può più fare a meno di notarle ad ogni angolo di strada, e non vuoi che il tuo nome sia presente tra coloro i quali tutti i giorni, a cielo aperto, si occupano di questi sottoprodotti delle attività umane? Vanno in giro con la propria famiglia e salgono a quote prefissate, dando uno sguardo al futuro e non solo su eventi diversi dalle corse di cavalli, ma anzi, scendendo con un setaccio carico di percolato, pronto a essere messo a scandaglio come la sabbia dei fiumi in cerca d'oro e, alla fine di ogni mese, risalire con agonismo inaudito attraverso i canali, seguendo gli assi diametrali del PVC o le abrasioni di fibrocemento, alla ricerca della perdita come di un figlio. Non ci sono più ostacoli per la tua iscrizione all'università, proprio perché non ce ne sono più i presupposti. Risalirai i tombini più belli di tutti i tempi, ne sono sicuro; tutto ciò non è bellissimo?

revival delle automazioni

una volta, nelle persone adulte, le costruzioni robotiche generavano ilarità, fino a quando non si è capito che è possibile effettuare tentativi di sollevamento per decine di tonnellate grazie alla compressione idraulica. 
fare un piccolo studio in proposito: la maggior parte delle persone che si preoccupano di qualcosa molto seriamente, lo fanno relativamente ad esoscheletri ed annichilazione finale. come dargli torto, indecisi fra le applicazioni biomediche o militari, intenti a verificare la posizione delle proprie particelle e delle mani che si stringono, generando collisioni violentissime e piccoli tamponamenti fra vetture in coda nei centri urbani. e dunque la loro vita non è del tutto un problema, ma non importa che nel discrimine fra i due estremi l'equipaggiamento sia in grado di reggere gli urti. 
non vogliono che gleba e nobiltà si uniscano insieme per completare la quest principale, quella relativa alle classi sociali non più in voga al momento. 
non vedi l'ora di manifestare il tuo dissenso in proposito. 
pare che, nel nostro universo, la carenza dell'antimateria sia costitutiva.

mercoledì 23 novembre 2011


reposting: arsemicosis 4 (la superstition scientiste : 0. le thermomètre, per forza di cose, HGH 2011)

Un test ti dice quando morirai. Questo test ha un costo che si aggira intorno allo stipendio di ogni lavoratore. Un test ti dice quando morirai e il nostro che l'ha provato ha detto che è la prima volta che gli capita di vedere un film in alta definizione che gli assomigli così tanto.
La soluzione per l'utilizzo virtuoso di questo test è stata di recente approvata in consiglio condominiale, nonostante le iniziali perplessità dell'assemblea. I risultati si sono subito visti e ottenuti, anche se in sette giorni s'è potuto far poco per diminuire la contrarietà di alcuni inquilini.
Il test funziona grazie a un termometro usa e getta utilizzabile mediante diverse modalità di inserimento, a seconda del livello di collaborazione riscontrato nel paziente.
Questo test è divenuto celebre grazie a qualche amico, già atleta olimpico o maratoneta del sesso o mediano di spinta. E' con l' aiuto di questo sfortunato amico, ridottosi per brevi periodi di tempo a ingerire cibi liofilizzati e starnutire troppo a causa del sondino nasogastrico, che si è potuta constatare la completa inutilità di tutte le persone che hanno lavorato a lungo e per la prima volta in modo da mettersi in grado di fornire risposte estetiche e metafisiche alla seguente procedura, aliena di certo dal solito bel lavoro di squadra.
Il termometro è composto di due parti: la testa rotonda e la base in legno. Il termometro può essere comodamente appoggiato a terra grazie a questa base e usato in posizione verticale. Il liquido utilizzato è una lega particolarmente instabile di vari elementi non ben precisabili. L'apparecchio è provvisto di un comodo tastierino associato a uno schermo led sette pollici.
All'accensione verrà richiesto più e più volte, ossessivamente, ed è di fatto impossibile spegnere la periferica, che non ha bisogno di energia elettrica dato che si autoalimenta, verrà richiesto più e più volte di indovinare la temperatura digitandola sul tastierino e schiacciando il tasto ok, sulla base di constatazioni empiriche e solo in seguito provarla utilizzando la parte del corpo preferita per la misurazione. Al termometro, lungo due metri, è collegato un innesco a fasci di particelle in grado di avviare la fissione del liquido presente all'interno dello stesso. Il termometro esplode se il paziente non indovina la temperatura esatta con approssimazione centesimale. Sul libretto di istruzioni non si fa riferimento a una possibilità di riutilizzo dello stesso apparecchio.

venerdì 18 novembre 2011


clausole vessatorie per l'esistente

volevo dirti che tutto questo io lo faccio solo se riesco a scamparti a oltranza, se il fiato sul collo prima o poi se lo sente qualcun altro addosso, se davvero non è che si muore ma si passa a esistere da un'altra parte, magari non a esistere ma al semplice fluttuare di un corpo che finalmente non si muove, se queste clausole vessatorie sono davvero in grado di darmi beatitudine, se questa beatitudine non è alibi o presupposto ma soltanto scorrere e scorrere del sangue dall'aorta alla vena in un bilanciamento di organi cavi che sovverta ogni possibilità di malfunzionamento idraulico, se non esiste possibilità dell'ostruzione o esistendo l'idraulico non verrà per spillare unicamente del denaro, se torniamo a considerare il denaro come nel medioevo e non ne facciamo un problema di modernità o peggio ancora di religione o capitale, o se magari tornando al baratto riscoprissimo il piacere di scambiarci quarti di vacca e polli vivi, se questa breve voce è breve e fa sorridere di noia o di pietà, se la voce personale ormai si sente proprio perché corrosa, se non vedi mai la necessità di mettere l'apostrofo a qualcun altro per puntualizzare la sua poca attitudine all'esistenza, se non continuiamo a persistere negli alvei bancari di quest'impropria matrice permanentemente squarciata in mezzo al ghiaccio che siamo, se e soltanto se mi dici che potrò terminare questa frase, se il mio stato non è terminale ma è solo un modo di dire, se da domani possiamo fare qualcosa di nuovo, se vedi che il tuo vicino un giorno non sta come al solito con la faccia vicina al parapetto pronto a guardare quello che farai, se vorrai smettere di fare qualsiasi cosa, se vorrai smettere di farlo insieme a qualcuno che ti è vicino perché sennò cosa smetti a fare, se non avrai problemi a dire che invece questo lo vuoi fare, se senti che non c'è niente di male, che non può esserci niente di male nello scappare dall'esistere al fluttuare, se non c'è che una sostanza di cui tutti parlano e in cui nessuno guarda, se tutti finalmente si versassero lì dentro e facessero a meno delle clausole, se l'esistente non fosse qualcosa da cui scansarsi continuamente, se ricordando nostra morte corporale tutto fosse predisposto in modo da farci venire in mente qualcos'altro.

lunedì 14 novembre 2011


disfatta (/i) di canne

le serate peggiori iniziano quando ci si accorge di non poter entrare da nessuna parte senza aver prenotato un tavolo, senza che qualcuno dica che no, qui è tutto troppo affollato, e quindi via, altro giro verso il centro abitato successivo, tra una precipitazione monsonica e l'altra.
pure l'aria è densa, compressa. è lo stesso in ogni posto: le giovani consorti dei clienti si pestano le borse per assenza di spazio, mentre i mariti o i fidanzati brindano amabilmente a dom pérignon, bevendone a canna, attenti a far schioccare bene i colli di bottiglia, rompendoli.
non cede e non cessa una certa resistenza al sonno, l'ipotesi che la serata prima o poi finisca: il fatto di stare sugli scudi per ore, di moderare il proprio passo già pericolante nella sobrietà, facendo il più possibile attenzione, puntando a non urtarsi, a non capitolare sotto le bordate dell'alcool.
ci sono posti irraggiungibili coi mezzi pubblici, posti troppo vicini per uno strappo in macchina, posti che non sai per quanto rimarranno aperti. una sera pensi che potresti andare lì e invece no, serranda abbassata, fine della corsa. ci si accorge che l'area un tempo adibita al posteggio, evento comunque raro e non privo di sorprese, è stata sgomberata a colpi di mine anticarro, fatta saltare per far posto al prossimo necessario centro di bricolage.
quello che si richiede, quando invece la ricerca è andata a buon fine, quando il posto esiste, almeno per quella sera, è stare il più possibile vicini, gridarsi perché magari la musica è alta e non si sente.
discutere animosamente per ore senza sapere di che.
le intenzioni sono, dapprima, di non dare nell'occhio: perché non va, perché comunque la prima consumazione è quella migliore, perché tanto non è che ci sia granché da mostrarsi. pare che non si possa dare un'impressione qualsiasi. se il bicchiere cade, oppure il tavolo traballa, allora apriti cielo, e il cielo si apre in cataratte, una pioggia regolare di liquidi multicolori, flutti di dubbia bevibilità.
un gorgo si forma all'apertura della gola.
a un certo punto qualcuno fa qualcosa, prende l'iniziativa, magari esce fuori a fumare riparandosi sotto la tettoia dilavata. intanto infuria il peggior rovescio temporalesco della storia, un rovescio fuori di quattro metri, una pioggia che rema da fondocampo, che aspetta un errore forzato.
si cade spesso nella trappola di pensare che gli stati d'animo siano interessanti, che anche gli stati interessanti lo siano, mentre invece il risultato finale è interessato e sono sempre le cause naturali a suggerircelo.
si rientra, e poi si parla, si continua a parlare per ore, mentre sotto la tettoia non ci si sentiva, si fumava e basta, si dava adito alla catena di fumo di far fuori le proprie vite, le proprie vie respiratorie. sereni.
e poi, di certe cose in particolare, e più nello specifico di argomenti poco chiari, doverne pensare qualcosa per forza, per il rischio di essere tacciati, sotto sotto, a bassa voce, quando si ritorna sotto la tettoia dilavata e il rovescio ancora non ha cessato il suo remare in direzione degli spigoli e degli angoli di strada, di non essere poi quelli con cui si credeva di, su cui si faceva affidamento per il futuro, per il proseguimento inerte di altre serate, per altro tempo come quello
forse tutto questo succede per completa inefficacia dei gesti, perché non siamo in grado di interpretare quello sguardo come tanti altri nostri coetanei sono in grado di fare, o forse perché, pure quelle volte in cui ci viene offerto qualcosa, anche in maniera involontaria, non riusciamo a capire la parsimonia degli altri, il fatto di non provare ancora l'euforia, la voglia che ogni cosa dovrebbe provocarci.
mentre fuori, sotto la tettoia dilavata, da cui cola acqua, prosegue una pioggia regolare, che c'è, si fa vedere, resiste al passaggio di nervi e di maree.

mercoledì 9 novembre 2011


la so, l'ultima.



vedi nessuno piange per le rendicontazioni che non ti rendicontano sui trecento otto meno quello perso nel dedalo di montecitorio per l'attacco prostatico, e manco per te. vedi, ti hanno detto che quella, proprio quella è la porta, da chissà quanto tempo. vedi, è quella. 



o meglio, si piange perché ci hai aperto un po' di baratri a caso, ce li hai fatti vedere bene o male tutti. e noi a dirti per favore vattene, ma tu niente, se parliamo di porte niente, ma tu sai appena quella di porta pia, e quindi a pregare per nessun governo tecnico, tu quoque reuters, sic transit gloria mundi, e infatti quanto tempo, mannaggia, diciassette anni tempo per chi aspetti tempo. 



vai e non voltarti, ti inseguono eserciti di er pelliccia travestiti da estintori. e non tornare, c'è ancora il lettone di putin come l'hai lasciato tu, dopo che hai fatto spread di tutte le donne di cortesia, delle ford escort uno punto otto turbodiesel settantacinque cavalli pre-usate a cinquemila euro. fallo rifare a uno dei tuoi famigli, di default.



soprattutto vai via. se qualcuno obietta forse (sarà uno dei tuoi portavoce) che ci mancherai, non è vero.
e non ci serve questo tuo rievocarci tutti i cucù i kapò i commessi i portaborse per non parlare delle corna dei disegnini sconci delle barzellette oscene dei proclami storici dei ristoranti pieni dei cinema affollati dei souvenirs in faccia delle canzoni neomelodiche dell'anarchia sui temi etici dei trapianti dei capelli dei culti e dei leader.



formalizzaci le tue intenzioni, senza questo stretching concettuale delle cose brutte che son brutte forte e basta. comunque con te non se ne va la memoria e neanche i tempi peggiori ma il niente la zolla innocente che siamo. al limite ti riconosciamo il milan di van basten gullit rijkaard, acclarata la tua mossa politica di fidelizzazione delle masse per mezzo del calcio.



vai, anche perché ti vediamo troppo remissivo, anche perché questa sembra l'ennesima mossa da fenomeno, anche perché a saperla giusta da te, arrivederci.



vedi, vattene, quella è la porta, la porta, non la poltrona, per una volta la vedi, vedi, non ti vogliamo.


sabato 5 novembre 2011

mercoledì 2 novembre 2011


per chi invece esce


fare qualcosa, dire qualcosa, provare a passare dalle direttrici alle direttive non è sempre un bene, e se è bene non funziona, come la guerra e la fusione fredda. o meglio, funzionava, prima che la progettualità fosse imboscata come i motori tesla, a vantaggio dei propinamenti espressivi (e pro-pulsivi, cioè a vantaggio delle pulsioni). prima di farlo, però, diciamo qualcosa che non si verifica, né qui né altrove, ma che ci auguriamo per un futuro sereno (in segreto non ci auguriamo nessun futuro, neanche un futuro senza domani: manco per sbaglio. ma il futuro va di moda, la poesia indovinate, e allora ci si adegua).

che la dovremmo smettere, in sostanza, con questa scrittura di risentimenti, nel senso di un rimbalzo continuo e ciclotimico delle posture, con questa serpentina capillare da vasi comunicanti che rende il travaso di bile della scrittura meno travaso e più rimestamento. che sia un po' troppo poco mesto questo frugarsi addosso e dentro, questa rima al mezzo del sangue, degli score raggiunti automisurandosi il ph. certe cose non sono un segreto, non è minimale parlare del livello di pulizia dei propri pavimenti. l'intro-retro-spezione, spesso, è triste come una partita a monopoli che si protrae nei secoli. faccia riflettere questo: sono anni che nessuno passa dal parco della vittoria e che in libreria non si vedono più certe cose. una capatina in prigione potrebbero pure farcela, uno se lo augura, ma niente. a piede libero.

(supereroismo: se ho la faccia verde non è che mi sto trasformando, è che non sto tanto bene, amore salute lucente, smalto smaltato, vita vitale e chi più ne ha).

che la dovremmo smettere in corrispondenza alla sepoltura dell'ascia di una dismessa scrittura dei sentimenti dismessi pure quelli, di mani nei capelli che si diradano, di un turbamento pilifero che non si dà una regolata e si compiace delle viti svasate dal case del personal computer, in un maelstrom di cosificazione calciforme che interessa lo spettro del sensibile dagli organi genitali maschili e femminili ai cardini delle porte.

(bisognerebbe avere il coraggio di condannarli una volta per tutte, questo scambio d'organi e questo fluidificarsi della visione. fa pure una po' schifo, a dirla tutta, fuori dai denti e dentro i vasi. si può dare una poesia "dalla cintola in su". come la morte. senza scomodare natiche, tagli di luce che si infrangono sulle natiche, natiche e lenzuola, nati che non gli va proprio di morire e invece, poi prendersela un poco con la porno/pronocrazia e intanto non farsi mai mancare, penna alla mano, la propria buona percentuale di natiche, meglio se 1:1, a ogni natica sta una pagina. altrimenti che pensano, pensano che non ne vedo di natiche, meglio ancora 2:1, per scongiurare sospette deformità. un florilegio di natiche).

che la dovremmo smettere di condire tutto con una parata di oggetti, dato che ormai il suono è quello della rimpatriata di invalidi civili: oggetti di ritorno dal frontespizio, oggetti in sciopero e in pensione, che tirano il fiato, le cuoia, all'occasione i sanpietrini, gli estintori mentre il (famigerato) fuoco sacro dell'araldica brucia in disparte e nessuno se lo fila. una spolverata di paleolirica non guasta mai: tramonti, se ne avanzano. foglie di sicuro, e se ci stanno le foglie vuoi che non ci siano gli alberi? state a sentire: lo sapevate che prima di ispezionare natiche e riportare il tutto meticolosamente sono stato piccolo? nel senso, a un certo punto avrò avuto sei, sette anni. l'infanzia, la sospettavate l'infanzia? eccovela servita: fuori le natiche, dentro la nonna e i camioncini dei pompieri. non è una roba nuova, non è più poetica degli oggetti ma poetica dei ninnoli, delle carabattole da comò, ossia quando ancora il comò si chiamava comò e non aveva cessato di esistere, soppiantato dagli algebrici impiallacciati ikea. è sempre pacchiano, ma senza più l'umorismo da mondobig(i)otto. "questo verbo più logoro di noi" e non so voi (voi chi?, di nuovo), ma stando a noi ce ne vuole.

(c'è chi lo pensa e magari fra un po' ce lo viene a dire, e mannaggia ma come si fa, un lavoro di anni e anni sul declassamento della sensibilità (tà-tà-tà, come il rullo della pellicola o il rullo compressore sulle asperità della lirica, come la mitraglia ma a salve) e ora ci schizzi in faccia questo succo gastrico, questa salsa in bustina, questo poco, queste cafonate deliranti semiserie intollerabili schifo culo. anzi, schifo natiche. le generazioni, ci assicurano, entrano, ma qui la verità è che non se ne esce fuori.)

che la dovremmo smettere con le parole in secondo piano, quello di fuga, con le valigie pronte, condannate a riferire sempre la solita nenia, le solite camomille, le solite tisane all'occasione corrette perché se il maledettismo è sparito anche dalle quarte di copertina, dietro le quinte c'è ancora spazio. proprio un peccato non approfittarne. le parole che non sanno pronunciarsi su niente ma stanno lì solo in vece di, a mo' di citazione, e citano tutta una serie di cose che si svolgono dal comò in avanti. ma il comò non c'è più, come palla prigioniera, come le freak c'est chic, basta con questi oggetti in bretelle (anche quelle: non se ne è saputo più nulla), basta con la coperta corta del discorso comunque ascellare - a dispetto della brevità. non è che l'horridus non sappia scrivere, eh: è una parola piana, una parola media, una poesia da percorrere tutta in quarta. lo si fa per voi (voi chi?), una poesia piena di comfort, reclinabile, a scomparsa. l'horridus è capace di giurarlo: fosse per lui, dal cilindro caverebbe dei geroglifici da spavento, sa dirle le cose difficili se gli gira, fidatevi. ma è buono, è magnanimo, sempre sia lodato.

Daniele Bellomi, Manuel Micaletto

lunedì 31 ottobre 2011


la crisi umana

producono magari gli inserti culturali dei giornali. gli inserti culturali dei giornali sono come le sonde voyager, non sono mai più tornati indietro. erano belle davvero, ma le parabole che avevano in dotazione ormai erano superate da quelle incastrate accanto alle finestre delle abitazioni nei quartieri popolari.
c'è la sensazione che questo modo di fare non vada troppo bene. un peccato.
non lo so, non lo so. non so cosa fanno, e manco quelli a dire il vero, padre perdona loro. sono persone che impugnano le sentenze contro persone che invece confermano le sentenze impugnate, fanno l'avanti-indietro su articoli comparativi del tipo x-scrittore : y-pittore, oppure son lì che fremono come uccelletti per ravvisare le compatibilità, il margine di compenetrazione fra umberto eco e il genere umano.
hanno voglia di tenere i pugni in tasca, ma non li hanno chiusi, perché sennò come ci stanno. sanno che l'offesa non è provocata dal reato, ma chiunque li offende. sanno che il reato può essere offensivo, ma che non si offende come loro.
non si fidano quando gli dai qualcosa da leggere. ti chiedono soltanto se si stanno sporcando le mani, come con l'inchiostro della pagina culturale, con il rosso drappeggiato dal caravaggio che campeggia in mezzo alla pagina e si infila sotto le unghie dello sfogliante.
non è tanto bello, così. vado in ricevitoria, punto cinquanta euro sulla crisi umana. la quota che scelgo è l'under due virgola cinque, sta a due e dieci, realizzabile con un margine di rischio contenuto. stavolta sono fiducioso.
vinco centocinque euro se l'umanità si estingue con meno di tre gol di scarto.

sabato 29 ottobre 2011


legible drawings

legible drawings, terzo dei miei blog nati da maggio 2011 ad oggi, chiude ora per riaprire nel corso del 2012: presumibilmente, intorno a marzo o aprile.
l'idea che vada ristudiata la sua formula di presentazione spinge a incorporare qui, per il momento, qualche reposting e nuovi eventuali contenuti.
ld rimane quindi incluso in plan de clivage, mantenendo le medesime modalità.
la stessa cosa avverrà, entro qualche settimana, anche per arsemicosis.

ringrazio (perché l'occasione è giusta e perché è doveroso) chi ci legge pdc ormai come fosse un'abitudine e chi, invece, apre il blog per la prima volta in questi giorni.

d. b.

venerdì 21 ottobre 2011


exoforia (2009, 2011 ris.)


recito piano la riga dov'è squarciata pensando alla carta

che si rompe se gira, e gira, e gira, e gira ancora, se strizzando,

se le mani degli altri non ci fanno caso, se capita un altro

problema agli occhi, se vedi che strizzando la voce si perde

contatto, tramite col mondo, con gli occhi riposti e chiusi,

con il testo che non si è fatto ancora vedere, con chi ascolta

che è ancora lì, mentre circola la noia, non è chiaro l'intreccio

che fa a pugni con l'esterno, e se così, parlando, si allude

a qualcos'altro, a un paradosso, magari, se stiamo parlando

puoi vedere come tutto gira, se gira ancora, e gira, ci costringe

ad indossare occhiali, a lasciarli fluttuare su sfondi più chiari,

se la vista gira e vuole convergenza, se dicendo piano la riga

o il verso appena ricomposto, con la vista che rigira le cose,

se gira e gira e finisco ad aver paura dei gesti con cui rovescio

sempre tutto, del mio non saper mettere insieme ciò che prima

ho trovato capovolto, con la testa sott'acqua, il testo annegato

e il suono come di corpi che risalgono in superficie, se strozzando

l'accesso della voce farei del vizio una cosa che non si redime,

che se può gira assieme alla visione, oltre il corpo imbevuto, gira

ancora e si rompe, guarda verso il centro dello sbrego, mentre

il detto si attacca sulle palpebre e se gira non può cominciare


martedì 18 ottobre 2011


La perfezione della neve. Andrea Zanzotto, 1921-2011.



Quante perfezioni, quante
quante totalità. Pungendo aggiunge.
E poi astrazioni astrificazioni formulazione d’astri
assideramento, attraverso sidera e coelos

assideramenti assimilazioni -
nel perfezionato procederei
più in là del grande abbaglio, del pieno e del vuoto,
ricercherei procedimenti
risaltando, evitando
dubbiose tenebrose; saprei direi.
Ma come ci soffolce, quanta è l’ubertà nivale
come vale: a valle del mattino a valle
a monte della luce plurifonte.
Mi sono messo di mezzo a questo movimento-mancamento radiale
ahi il primo brivido del salire, del capire,
partono in ordine, sfidano: ecco tutto.
E la tua consolazione insolazione e la mia, frutto
di questo inverno, allenate, alleate,
sui vertici vitrei del sempre, sui margini nevati
del mai-mai-non-lasciai-andare,
e la stella che brucia nel suo riccio
e la castagna tratta dal ghiaccio
e - tutto - e tutto-eros, tutto lib. libertà nel laccio
nell’abbraccio, mi sta: ci sta,
ci sta all’invito, sta nel programma, nella faccenda.
Un sorriso, vero? E la vi(ta) (id-vid)
quella di cui non si può nulla, non ipotizzare,
sulla soglia si fa (accarezzare?).
Evoè lungo i ghiacci e le colture dei colori
e i rassicurati lavori degli ori.
Pronto. A chi parlo? Riallacciare.
E sono pronto, in fase d’immortale,
per uno sketch-idea della neve, per un suo guizzo.
Pronto.
Alla, della perfetta.

“E’ tutto, potete andare.”

giovedì 13 ottobre 2011


aise pei qen oupna


facile, facile genoma pneumatico, umidità a tavola,

umidità, canali. presa pneumatica, manica e pergamena,

umidità, umidità. questi pneumatici silenziosi, arcuate

le gomme, e morbido, morbido in estate, il paese.

e crusca, e cane, farlo a piedi, non può. cane, cane

genoma a manica, disgrazia, pergamena, e crusca,

umidità, la cena, non prato, uova, vita che può essere

loro, e vino, e crusca, tutta una tecnica precedente.

lunedì 10 ottobre 2011


dai modi (2011)


dire le cose passando dai modi a mondi dati per spacciati

o quantomeno per adesso sorretti da canti e costellazioni

canali autostradali e svincoli che portano ai supermercati

pure non guardati bene scavati a dovere in fondo e proni

o non a sufficienza per saltare ai mondi chiari abbozzati

appena per la crisi che viene data dai tempi dai mercati

che non temono affari o almeno non avendo che opzioni

per resistere in stupidità e coscienza del male non disfati

ma lasciati attraversare passare dopo non esserci tornati

sabato 8 ottobre 2011


come se (ii)

come se qualcosa uscisse dalle tempie e venisse posto in essere
separato lentamente dalla propria specie e quasi ricredendo
al senso originale del calore o della materia che si fa da parte

e pure occupando la regione laterale o limitando il volto noi non
lo vedessimo non ci apparisse sufficiente e temporale il grigio
che si astiene dalla pratica e impone al proprio tempo di indicare

sabato 1 ottobre 2011


preghiera del diaframma (i)


pensare a riunire di nuovo tutte le membra rese nulle,
le arcate che formano cataste, in giro, prendono il posto
del vento nell'immaginario e questo vento che le include
assume la vista orrenda del corpo che rimane
pensando
alla parte che preme, nel corso della notte che si prega,
che tu vuoi pregare, un'anima che può venire ammessa
solo se si stende, e poi rannicchia, salta per non cadere,
per non lasciare segni
pensarci un poco prima, per voglia
sottile, che non si deve, se c'è, che ora si riveste un poco,
per tutto il resto che si muove, tenere separato lo sterno
dall'ora del giorno che interpone
pensa al corpo, a quello
che non si stende, non se ne va in giro, meno cavo
per biologica inserzione, meno intimorito dalla formula
che esenta, giustifica. l'occhio se ne sta lì
penso che forse
il corpo lo tocchi piano sulla faccia, oppure l'una o l'altra
delle tempie, o il cranio che tiene ancora tutto dentro,
esorta a che le mani stiano insieme
a pensare almeno
un poco, urtandosi per produrre il soffio che schiocca
sul torace, resta intatto, non si perdona perché estinto
ma si chiede dell'adesso, dell'espirazione, della colpa
e torna alla domanda, finalmente c'è, non è rimessa

giovedì 29 settembre 2011


in un buio seguente

il discorso è perpendicolare al letto: i due angoli
che si vengono a creare sono uguali.
questa luce logica, a quadretti, ti sfila dal mondo
con una mossa di compasso, per filo e per segno.

"in ogni cuscino risiede un principio di soffocamento
e uno di grandezza, che sale e fa muro. da un cuscino
il mondo è di profilo".

"non so bene se per svegliarsi bisogna dormire più forte
o dormire a ritroso. nella bolla d'aria
dello scafandro. sul divano ho dormito
in controluce".

"un sonno concavo, di cisterna, di girini
ci ha slogato gli occhi."

questo buio consecutivo vede
la morte da uno spioncino
con la testa grande da palombaro. una voce
senza prefisso decide
la parità del sangue,
del peso incustodito. i morti sono
questo buio senza desinenza.

domenica 25 settembre 2011


HGH: due e-book da plan de clivage su gammm.



::: daniele bellomi / per forza di cose [pdf 136 Kb] - 25/09/2011




::: manuel micaletto / a vario titolo [pdf 144 Kb] - 21/08/2011

giovedì 22 settembre 2011


come se (i)

come se non ci fossero più neanche gli alberi ammassati dai tagli
nella piega portata dietro dalle mani per anni e infissi staccati
che ricordano la polvere a cui sono grate le cose eppure non sono

se non si dimenticano a immagine e somiglianza di una piena
dell'acqua che arriva e in cui la secca prende al collo stringendosi
al posto dell'ispezione trasparente che domani non rimargina

giovedì 8 settembre 2011


piano-soppressione (sequenza)

crederci che, se io te lo dicessi, qualcosa muoverebbe da dov'è, l'aria come quella di chi è appena sceso da un treno per passare dal lato destro della notte, di due, anzi, a tentoni, su tre, per quello che rimane visibile, per tutto questo sporco che rimane.

l'accompagnatore non ci sta ancora. entra in un posto che ha una porta, addosso una patina, la cellulosa che si brucia: riattaccare dal visibile, l'equilibrio tra il buio e la luce, la prevalenza di. si accende una sigaretta, ha fastidio.

si ammala. l'odore chimico, la pelle che si arrossa, non viene da, non si è capito bene dove accade: i metri di pellicola che scorrono, ta-ta ta-ta ta-ta-ta ta-ta. è banale, lo fanno davvero il controtempo per proseguire, andare avanti se si può.

credendo, la nozione di anti-trust in un riquadro informativo, pagina otto del giornale. credere che prima poi io ti dica che, anche se qualcosa si muoverà: di strada secca, di terra, da lontano, visuale come distanza, piano immobile da accogliere in silenzio.

si vede piuttosto bene, lì in fondo, stavolta è il silenzio che si accoglie, le ordinazioni impilate sul bancone, riparano. mute. il loro ripostiglio, dove si nascondono, e poi chi le vede. si ammala. lì, ora, penso davvero che non ci crederesti se io dicessi, dicessi che.

si secca la gola. è una cosa che non puoi vedere. ha già visto il proprio posto, l'angolo refrattario. si mette a vagare, i passi se ne vanno in giro, fanno semicerchio. passa il proprio tempo tra l'ingresso del bar e il fianco sinistro dell'auto, andando avanti e indietro.

entra dopo qualche ora. vedo che si appoggia al centro dell'inquadratura, aggiusto e la riporto a destra. è composta. i pantaloni le tirano un poco sulle ginocchia: non fa niente di organizzato, è breve. se io te lo dicessi, alla fine, ma non per scherzo, invocandoti.

le scarpe strisciano, sporgono appena dallo stipite. il rumore non si sente, troppo lontano, eppure lei gira, gira, mancando il centro. è l'ombra che se ne sta da sola. l'impazienza ha fatto qualche varco intanto: trema un po', tira i nervi dentro, in tempo, aspetta.

la valuta ha lasciato soltanto i centesimi, piccoli, piano, più piano. brillano, se qualcuno li guarda. niente. cosa diresti se, a un certo punto, uscisse di scena. e passa, passando si stira, appoggia le scarpe contro il muro, inavvertitamente, ma non si vede.

si ammala. una vecchiaia diffusa delle cose, diffusa nelle cose. il vestito che a poco a poco sdrucito, la parola che inizia a, non pensare che si senta per davvero. c'è da dirla. quella che inizia facendo a, non finisce. e non finisce. si siede lì, sul versante opposto.

adesso esce dal campo, adesso ricompare. una scena che si gira sempre da capo, che deve essere ripetuta.

mercoledì 31 agosto 2011


decisioni revocabili

ora direi che, in fondo in fondo, adesso come adesso ci importa poco di quello lì, e pure ai nostalgici in realtà gli frega niente, ce n'è da vendere di sciacquature e menefreghi dopo che è finita l'epoca del menefrego, quello lì o, come lo chiamano le persone più anziane, quello là, che quando c'era lui c'era questo e quest'altro, per quelle meno anziane c'era quello e quell'altro, in quanto più vicine a lui per nascita che per morte, e quindi più lontane, in definitiva, e poi a un certo punto non c'è più stato né quello né quest'altro, né quell'altro né quello, a un certo punto non c'è stato più, neanche lui, anche se noi siamo lontani, e troppo, da entrambi, quindi chi può ricordarsi.


mi riferisco a quello lì, quello un po' minuscolo, e anche se adesso è ingratitudine verso la storia, anche perché pure quella peggiore un pochino di rispetto lo terrebbe volentieri in serbo, è toccare nella carne ciò che è stato e ciò che non si è mai potuto, ciò che un tempo si voleva e poco dopo non si è più voluto, insomma, dicevo e dico di quello che hanno appeso per i piedi, è successo una volta sola, chi è stato non posso ricordare, sono stati un po' tutti, non ho bene in mente quando è successo, probabilmente non c'era nemmeno l'intenzione di me, allora.


o meglio, tutti i nonni progettano di avere i nipotini ma a quel tempo i miei erano ancora senza figli, erano loro i figli appena usciti dalla pubertà, adulti almeno da avere testa e cuore di muovere le gambe per scappare, buttarsi nei fossati, ripararsi sotto le piante se l'aereo arrivava, e se l'aereo buttava giù, sperare, sperare che non centrasse loro, che non gli buttasse giù la scuola come invece è successo, e sperare, per assurdo, sperare perché assurdo, pure che non arrivassero i partigiani a seccare il tedesco buono, quello che faceva passare tutti i viveri, e invece no, gli sparano in faccia e sono mesi di fame, e loro eroi però, anche se di finiti dentro ce n'è stati.


insomma, quello lì, con le gambe all'aria, il centro del viso scoppiato, la sola visione in morte se le altre non hanno avuto luogo, quello lì con tutta la sua storia, la posa coatta che si tira via dal gioco, la sua foga tutta precipitata insieme, a testa in giù, al centro di una verità che lo percuote, e in quel momento un'ellissi che si fa sul momento finale, su quello della sua amante. c'è una popolana che le rimborsa la gonna all'altezza delle ginocchia, con una molletta, per pudore. lei ha capito. le è chiaro che solo il pudore non è che l'ultima di tante decisioni revocabili.