mercoledì 30 novembre 2011
martedì 29 novembre 2011
reposting: arsemicosis 12 (moto primo, 2009)
non vinci ancora la mia voglia di fare questioni
né la tua a perdere le irrilevanze quanto basta
in questo che ci chiude e ci fa semplici sguardi
e chiavi lasciate di nuovo su tavoli all’ingresso
mi sento quasi dal balcone dal soggiorno dove
fino a quando è il caso che qualcuno non bussi
apra e ci venga a vedere e se è rimasta la pila
dei piatti presi da lavare la cubatura più lunga
come mettermi le mani al collo che è un cuore
riflesso dal portone per vedermi e ancora puoi
ed è possibile entrare e non avvertire nessuno
l’appoggio sul collo sopra vedermi aprire sotto
il cuore dalle dita sulla giugulare sono balcone
e il tuo soggiorno se non ci sei nell’impossibile
non qualcuno quando bussa forse l’impossibile
è proprio entrare di mani di collo cuore vedere
né la tua a perdere le irrilevanze quanto basta
in questo che ci chiude e ci fa semplici sguardi
e chiavi lasciate di nuovo su tavoli all’ingresso
mi sento quasi dal balcone dal soggiorno dove
fino a quando è il caso che qualcuno non bussi
apra e ci venga a vedere e se è rimasta la pila
dei piatti presi da lavare la cubatura più lunga
come mettermi le mani al collo che è un cuore
riflesso dal portone per vedermi e ancora puoi
ed è possibile entrare e non avvertire nessuno
l’appoggio sul collo sopra vedermi aprire sotto
il cuore dalle dita sulla giugulare sono balcone
e il tuo soggiorno se non ci sei nell’impossibile
non qualcuno quando bussa forse l’impossibile
è proprio entrare di mani di collo cuore vedere
lunedì 28 novembre 2011
scopri il commerciante
in breve: si tratta di un gioco di prestigio dove spesso un amico a caso, a casa, magari non a casa propria, viene usato per bere. nel senso che viene usato lui e lui alla fine sta male. poi però ci si lamenta della mancanza di organizzazione e fornitura alcolici. può essere giocato soltanto da più di due persone, per via dell'abitudine a essere retti dall'alcool, l'abitudine a non essere retti, dunque. il nome si riferisce praticamente alla fine del gioco, nel senso di essere riferito; prima nessuno si immaginava che il gioco avesse un nome. tutto questo accade quando la maggior parte delle carte sono state usate per pulire gli alcolici rovesciati sul tavolo e i giocatori stanno per scoprire facilmente il piacere di appoggiarsi al bancone del bar, indovinando quali fra le carte sono rimaste immuni dalla degenerazione delle usanze giovanili. ti serve un mazzo standard da cinquantadue carte, se non ce l'hai uno di quei terribili mazzi regionali in cui tra denari e coppe, cappe e spade, spade e bastoni, pummarole e coppe, ditate, cenere frammista a sangue, bordi anneriti e sogghigni malefici dei figuranti si sono fatte lunghe le giornate, oltre all'usura maniacale e senza rimedio delle ribattute sui tavoli. poi ti serve l'alcool, ma già l'abbiamo detto. il commerciante, figura ignota in quanto sconosciuta al nostro regime fiscale, tiene il banco delle carte, e i giocatori devono indovinare ogni volta qual è la carta indicata dal dito tremulo dell'amico. se la prima risposta è corretta, un complesso meccanismo pompa nel cavo orale del malcapitato un getto di alcool a novantasei gradi. se è errata, il giocatore indica di quale morte vuole morire. se il commerciante indovina la pena, allora il partecipante viene messo alla gogna fuori dal locale con la testa incastrata fra i panettoni di cemento. se invece il commerciante sbaglia, allora rivela la propria identità al mondo ed è costretto a far scudare i propri capitali all'estero. dopo che tre persone di fila indovinano il valore del capitale scudato dal commerciante, lo accompagnano a costituirsi.
domenica 27 novembre 2011
sabato 26 novembre 2011
venerdì 25 novembre 2011
reposting: arsemicosis 7 (la superstition scientiste : 1. le égout)
Non ci sono più ostacoli per la tua iscrizione all'università. Ritengo sia fondamentale, per la competitività di un mondo senza ostacoli in generale, libero da comunità di studio e cultura italiana per stranieri e da italiani che hanno fatto la storia, la messa al bando della cultura umanistica in favore di un altro stato sociale, soggetto integralmente al sacro fuoco della scienza. La qual cosa consentirebbe di abolire, sparando nel mucchio e facendo considerazioni a caso, anche la letteratura, la corsa a ostacoli, il lancio del giavellotto e la psicanalisi, lasciandoci in contemplazione di curling, neuroscienze, dressage e microbiologia, che consentono di minimizzare errori e produzione di scorie. Non ci sono più ostacoli per la tua iscrizione all'università, certo, ma la gente non si rende conto che la propria vita cambierebbe in meglio se si iniziasse a fare un lavoro di ricerca relativo, ad esempio, al sistema di gestione delle fognature e degli insediamenti produttivi delle nostre capillari cloache giornaliere, invece che dedicarsi a certe fesserie come ad esempio la scrittura.
Di fogne ce ne sono di più e di meglio rispetto a quanto si pensi. Prova è che non si può più fare a meno di notarle ad ogni angolo di strada, e non vuoi che il tuo nome sia presente tra coloro i quali tutti i giorni, a cielo aperto, si occupano di questi sottoprodotti delle attività umane? Vanno in giro con la propria famiglia e salgono a quote prefissate, dando uno sguardo al futuro e non solo su eventi diversi dalle corse di cavalli, ma anzi, scendendo con un setaccio carico di percolato, pronto a essere messo a scandaglio come la sabbia dei fiumi in cerca d'oro e, alla fine di ogni mese, risalire con agonismo inaudito attraverso i canali, seguendo gli assi diametrali del PVC o le abrasioni di fibrocemento, alla ricerca della perdita come di un figlio. Non ci sono più ostacoli per la tua iscrizione all'università, proprio perché non ce ne sono più i presupposti. Risalirai i tombini più belli di tutti i tempi, ne sono sicuro; tutto ciò non è bellissimo?
Etichette:
Arsemicosis,
costruzione del testo,
Daniele Bellomi,
google scribe,
prose a trazione integrale,
prose al volo,
prose in giro,
prove in prosa
giovedì 24 novembre 2011
revival delle automazioni
una volta, nelle persone adulte, le costruzioni robotiche generavano ilarità, fino a quando non si è capito che è possibile effettuare tentativi di sollevamento per decine di tonnellate grazie alla compressione idraulica.
fare un piccolo studio in proposito: la maggior parte delle persone che si preoccupano di qualcosa molto seriamente, lo fanno relativamente ad esoscheletri ed annichilazione finale. come dargli torto, indecisi fra le applicazioni biomediche o militari, intenti a verificare la posizione delle proprie particelle e delle mani che si stringono, generando collisioni violentissime e piccoli tamponamenti fra vetture in coda nei centri urbani. e dunque la loro vita non è del tutto un problema, ma non importa che nel discrimine fra i due estremi l'equipaggiamento sia in grado di reggere gli urti.
non vogliono che gleba e nobiltà si uniscano insieme per completare la quest principale, quella relativa alle classi sociali non più in voga al momento.
non vedi l'ora di manifestare il tuo dissenso in proposito.
pare che, nel nostro universo, la carenza dell'antimateria sia costitutiva.
mercoledì 23 novembre 2011
reposting: arsemicosis 4 (la superstition scientiste : 0. le thermomètre, per forza di cose, HGH 2011)
Un test ti dice quando morirai. Questo test ha un costo che si aggira intorno allo stipendio di ogni lavoratore. Un test ti dice quando morirai e il nostro che l'ha provato ha detto che è la prima volta che gli capita di vedere un film in alta definizione che gli assomigli così tanto.
La soluzione per l'utilizzo virtuoso di questo test è stata di recente approvata in consiglio condominiale, nonostante le iniziali perplessità dell'assemblea. I risultati si sono subito visti e ottenuti, anche se in sette giorni s'è potuto far poco per diminuire la contrarietà di alcuni inquilini.
Il test funziona grazie a un termometro usa e getta utilizzabile mediante diverse modalità di inserimento, a seconda del livello di collaborazione riscontrato nel paziente.
Questo test è divenuto celebre grazie a qualche amico, già atleta olimpico o maratoneta del sesso o mediano di spinta. E' con l' aiuto di questo sfortunato amico, ridottosi per brevi periodi di tempo a ingerire cibi liofilizzati e starnutire troppo a causa del sondino nasogastrico, che si è potuta constatare la completa inutilità di tutte le persone che hanno lavorato a lungo e per la prima volta in modo da mettersi in grado di fornire risposte estetiche e metafisiche alla seguente procedura, aliena di certo dal solito bel lavoro di squadra.
Il termometro è composto di due parti: la testa rotonda e la base in legno. Il termometro può essere comodamente appoggiato a terra grazie a questa base e usato in posizione verticale. Il liquido utilizzato è una lega particolarmente instabile di vari elementi non ben precisabili. L'apparecchio è provvisto di un comodo tastierino associato a uno schermo led sette pollici.
All'accensione verrà richiesto più e più volte, ossessivamente, ed è di fatto impossibile spegnere la periferica, che non ha bisogno di energia elettrica dato che si autoalimenta, verrà richiesto più e più volte di indovinare la temperatura digitandola sul tastierino e schiacciando il tasto ok, sulla base di constatazioni empiriche e solo in seguito provarla utilizzando la parte del corpo preferita per la misurazione. Al termometro, lungo due metri, è collegato un innesco a fasci di particelle in grado di avviare la fissione del liquido presente all'interno dello stesso. Il termometro esplode se il paziente non indovina la temperatura esatta con approssimazione centesimale. Sul libretto di istruzioni non si fa riferimento a una possibilità di riutilizzo dello stesso apparecchio.
Etichette:
Arsemicosis,
Daniele Bellomi,
plan de clivage su Gammm,
prose a trazione integrale,
prose al volo,
prose anabbaglianti,
prose in giro,
prove in prosa
lunedì 21 novembre 2011
venerdì 18 novembre 2011
clausole vessatorie per l'esistente
volevo dirti che tutto questo io lo faccio solo se riesco a scamparti a oltranza, se il fiato sul collo prima o poi se lo sente qualcun altro addosso, se davvero non è che si muore ma si passa a esistere da un'altra parte, magari non a esistere ma al semplice fluttuare di un corpo che finalmente non si muove, se queste clausole vessatorie sono davvero in grado di darmi beatitudine, se questa beatitudine non è alibi o presupposto ma soltanto scorrere e scorrere del sangue dall'aorta alla vena in un bilanciamento di organi cavi che sovverta ogni possibilità di malfunzionamento idraulico, se non esiste possibilità dell'ostruzione o esistendo l'idraulico non verrà per spillare unicamente del denaro, se torniamo a considerare il denaro come nel medioevo e non ne facciamo un problema di modernità o peggio ancora di religione o capitale, o se magari tornando al baratto riscoprissimo il piacere di scambiarci quarti di vacca e polli vivi, se questa breve voce è breve e fa sorridere di noia o di pietà, se la voce personale ormai si sente proprio perché corrosa, se non vedi mai la necessità di mettere l'apostrofo a qualcun altro per puntualizzare la sua poca attitudine all'esistenza, se non continuiamo a persistere negli alvei bancari di quest'impropria matrice permanentemente squarciata in mezzo al ghiaccio che siamo, se e soltanto se mi dici che potrò terminare questa frase, se il mio stato non è terminale ma è solo un modo di dire, se da domani possiamo fare qualcosa di nuovo, se vedi che il tuo vicino un giorno non sta come al solito con la faccia vicina al parapetto pronto a guardare quello che farai, se vorrai smettere di fare qualsiasi cosa, se vorrai smettere di farlo insieme a qualcuno che ti è vicino perché sennò cosa smetti a fare, se non avrai problemi a dire che invece questo lo vuoi fare, se senti che non c'è niente di male, che non può esserci niente di male nello scappare dall'esistere al fluttuare, se non c'è che una sostanza di cui tutti parlano e in cui nessuno guarda, se tutti finalmente si versassero lì dentro e facessero a meno delle clausole, se l'esistente non fosse qualcosa da cui scansarsi continuamente, se ricordando nostra morte corporale tutto fosse predisposto in modo da farci venire in mente qualcos'altro.
lunedì 14 novembre 2011
disfatta (/i) di canne
le serate peggiori iniziano quando ci si accorge di non poter entrare da nessuna parte senza aver prenotato un tavolo, senza che qualcuno dica che no, qui è tutto troppo affollato, e quindi via, altro giro verso il centro abitato successivo, tra una precipitazione monsonica e l'altra.
pure l'aria è densa, compressa. è lo stesso in ogni posto: le giovani consorti dei clienti si pestano le borse per assenza di spazio, mentre i mariti o i fidanzati brindano amabilmente a dom pérignon, bevendone a canna, attenti a far schioccare bene i colli di bottiglia, rompendoli.
non cede e non cessa una certa resistenza al sonno, l'ipotesi che la serata prima o poi finisca: il fatto di stare sugli scudi per ore, di moderare il proprio passo già pericolante nella sobrietà, facendo il più possibile attenzione, puntando a non urtarsi, a non capitolare sotto le bordate dell'alcool.
ci sono posti irraggiungibili coi mezzi pubblici, posti troppo vicini per uno strappo in macchina, posti che non sai per quanto rimarranno aperti. una sera pensi che potresti andare lì e invece no, serranda abbassata, fine della corsa. ci si accorge che l'area un tempo adibita al posteggio, evento comunque raro e non privo di sorprese, è stata sgomberata a colpi di mine anticarro, fatta saltare per far posto al prossimo necessario centro di bricolage.
quello che si richiede, quando invece la ricerca è andata a buon fine, quando il posto esiste, almeno per quella sera, è stare il più possibile vicini, gridarsi perché magari la musica è alta e non si sente.
discutere animosamente per ore senza sapere di che.
le intenzioni sono, dapprima, di non dare nell'occhio: perché non va, perché comunque la prima consumazione è quella migliore, perché tanto non è che ci sia granché da mostrarsi. pare che non si possa dare un'impressione qualsiasi. se il bicchiere cade, oppure il tavolo traballa, allora apriti cielo, e il cielo si apre in cataratte, una pioggia regolare di liquidi multicolori, flutti di dubbia bevibilità.
un gorgo si forma all'apertura della gola.
a un certo punto qualcuno fa qualcosa, prende l'iniziativa, magari esce fuori a fumare riparandosi sotto la tettoia dilavata. intanto infuria il peggior rovescio temporalesco della storia, un rovescio fuori di quattro metri, una pioggia che rema da fondocampo, che aspetta un errore forzato.
si cade spesso nella trappola di pensare che gli stati d'animo siano interessanti, che anche gli stati interessanti lo siano, mentre invece il risultato finale è interessato e sono sempre le cause naturali a suggerircelo.
si rientra, e poi si parla, si continua a parlare per ore, mentre sotto la tettoia non ci si sentiva, si fumava e basta, si dava adito alla catena di fumo di far fuori le proprie vite, le proprie vie respiratorie. sereni.
e poi, di certe cose in particolare, e più nello specifico di argomenti poco chiari, doverne pensare qualcosa per forza, per il rischio di essere tacciati, sotto sotto, a bassa voce, quando si ritorna sotto la tettoia dilavata e il rovescio ancora non ha cessato il suo remare in direzione degli spigoli e degli angoli di strada, di non essere poi quelli con cui si credeva di, su cui si faceva affidamento per il futuro, per il proseguimento inerte di altre serate, per altro tempo come quello
forse tutto questo succede per completa inefficacia dei gesti, perché non siamo in grado di interpretare quello sguardo come tanti altri nostri coetanei sono in grado di fare, o forse perché, pure quelle volte in cui ci viene offerto qualcosa, anche in maniera involontaria, non riusciamo a capire la parsimonia degli altri, il fatto di non provare ancora l'euforia, la voglia che ogni cosa dovrebbe provocarci.
mentre fuori, sotto la tettoia dilavata, da cui cola acqua, prosegue una pioggia regolare, che c'è, si fa vedere, resiste al passaggio di nervi e di maree.
domenica 13 novembre 2011
sabato 12 novembre 2011
mercoledì 9 novembre 2011
la so, l'ultima.
vedi nessuno piange per le rendicontazioni che non ti rendicontano sui trecento otto meno quello perso nel dedalo di montecitorio per l'attacco prostatico, e manco per te. vedi, ti hanno detto che quella, proprio quella è la porta, da chissà quanto tempo. vedi, è quella.
o meglio, si piange perché ci hai aperto un po' di baratri a caso, ce li hai fatti vedere bene o male tutti. e noi a dirti per favore vattene, ma tu niente, se parliamo di porte niente, ma tu sai appena quella di porta pia, e quindi a pregare per nessun governo tecnico, tu quoque reuters, sic transit gloria mundi, e infatti quanto tempo, mannaggia, diciassette anni tempo per chi aspetti tempo.
vai e non voltarti, ti inseguono eserciti di er pelliccia travestiti da estintori. e non tornare, c'è ancora il lettone di putin come l'hai lasciato tu, dopo che hai fatto spread di tutte le donne di cortesia, delle ford escort uno punto otto turbodiesel settantacinque cavalli pre-usate a cinquemila euro. fallo rifare a uno dei tuoi famigli, di default.
soprattutto vai via. se qualcuno obietta forse (sarà uno dei tuoi portavoce) che ci mancherai, non è vero.
e non ci serve questo tuo rievocarci tutti i cucù i kapò i commessi i portaborse per non parlare delle corna dei disegnini sconci delle barzellette oscene dei proclami storici dei ristoranti pieni dei cinema affollati dei souvenirs in faccia delle canzoni neomelodiche dell'anarchia sui temi etici dei trapianti dei capelli dei culti e dei leader.
formalizzaci le tue intenzioni, senza questo stretching concettuale delle cose brutte che son brutte forte e basta. comunque con te non se ne va la memoria e neanche i tempi peggiori ma il niente la zolla innocente che siamo. al limite ti riconosciamo il milan di van basten gullit rijkaard, acclarata la tua mossa politica di fidelizzazione delle masse per mezzo del calcio.
vai, anche perché ti vediamo troppo remissivo, anche perché questa sembra l'ennesima mossa da fenomeno, anche perché a saperla giusta da te, arrivederci.
vedi, vattene, quella è la porta, la porta, non la poltrona, per una volta la vedi, vedi, non ti vogliamo.
lunedì 7 novembre 2011
sabato 5 novembre 2011
mercoledì 2 novembre 2011
per chi invece esce
fare qualcosa, dire qualcosa, provare a passare dalle direttrici alle direttive non è sempre un bene, e se è bene non funziona, come la guerra e la fusione fredda. o meglio, funzionava, prima che la progettualità fosse imboscata come i motori tesla, a vantaggio dei propinamenti espressivi (e pro-pulsivi, cioè a vantaggio delle pulsioni). prima di farlo, però, diciamo qualcosa che non si verifica, né qui né altrove, ma che ci auguriamo per un futuro sereno (in segreto non ci auguriamo nessun futuro, neanche un futuro senza domani: manco per sbaglio. ma il futuro va di moda, la poesia indovinate, e allora ci si adegua).
che la dovremmo smettere, in sostanza, con questa scrittura di risentimenti, nel senso di un rimbalzo continuo e ciclotimico delle posture, con questa serpentina capillare da vasi comunicanti che rende il travaso di bile della scrittura meno travaso e più rimestamento. che sia un po' troppo poco mesto questo frugarsi addosso e dentro, questa rima al mezzo del sangue, degli score raggiunti automisurandosi il ph. certe cose non sono un segreto, non è minimale parlare del livello di pulizia dei propri pavimenti. l'intro-retro-spezione, spesso, è triste come una partita a monopoli che si protrae nei secoli. faccia riflettere questo: sono anni che nessuno passa dal parco della vittoria e che in libreria non si vedono più certe cose. una capatina in prigione potrebbero pure farcela, uno se lo augura, ma niente. a piede libero.
(supereroismo: se ho la faccia verde non è che mi sto trasformando, è che non sto tanto bene, amore salute lucente, smalto smaltato, vita vitale e chi più ne ha).
che la dovremmo smettere in corrispondenza alla sepoltura dell'ascia di una dismessa scrittura dei sentimenti dismessi pure quelli, di mani nei capelli che si diradano, di un turbamento pilifero che non si dà una regolata e si compiace delle viti svasate dal case del personal computer, in un maelstrom di cosificazione calciforme che interessa lo spettro del sensibile dagli organi genitali maschili e femminili ai cardini delle porte.
(bisognerebbe avere il coraggio di condannarli una volta per tutte, questo scambio d'organi e questo fluidificarsi della visione. fa pure una po' schifo, a dirla tutta, fuori dai denti e dentro i vasi. si può dare una poesia "dalla cintola in su". come la morte. senza scomodare natiche, tagli di luce che si infrangono sulle natiche, natiche e lenzuola, nati che non gli va proprio di morire e invece, poi prendersela un poco con la porno/pronocrazia e intanto non farsi mai mancare, penna alla mano, la propria buona percentuale di natiche, meglio se 1:1, a ogni natica sta una pagina. altrimenti che pensano, pensano che non ne vedo di natiche, meglio ancora 2:1, per scongiurare sospette deformità. un florilegio di natiche).
che la dovremmo smettere di condire tutto con una parata di oggetti, dato che ormai il suono è quello della rimpatriata di invalidi civili: oggetti di ritorno dal frontespizio, oggetti in sciopero e in pensione, che tirano il fiato, le cuoia, all'occasione i sanpietrini, gli estintori mentre il (famigerato) fuoco sacro dell'araldica brucia in disparte e nessuno se lo fila. una spolverata di paleolirica non guasta mai: tramonti, se ne avanzano. foglie di sicuro, e se ci stanno le foglie vuoi che non ci siano gli alberi? state a sentire: lo sapevate che prima di ispezionare natiche e riportare il tutto meticolosamente sono stato piccolo? nel senso, a un certo punto avrò avuto sei, sette anni. l'infanzia, la sospettavate l'infanzia? eccovela servita: fuori le natiche, dentro la nonna e i camioncini dei pompieri. non è una roba nuova, non è più poetica degli oggetti ma poetica dei ninnoli, delle carabattole da comò, ossia quando ancora il comò si chiamava comò e non aveva cessato di esistere, soppiantato dagli algebrici impiallacciati ikea. è sempre pacchiano, ma senza più l'umorismo da mondobig(i)otto. "questo verbo più logoro di noi" e non so voi (voi chi?, di nuovo), ma stando a noi ce ne vuole.
(c'è chi lo pensa e magari fra un po' ce lo viene a dire, e mannaggia ma come si fa, un lavoro di anni e anni sul declassamento della sensibilità (tà-tà-tà, come il rullo della pellicola o il rullo compressore sulle asperità della lirica, come la mitraglia ma a salve) e ora ci schizzi in faccia questo succo gastrico, questa salsa in bustina, questo poco, queste cafonate deliranti semiserie intollerabili schifo culo. anzi, schifo natiche. le generazioni, ci assicurano, entrano, ma qui la verità è che non se ne esce fuori.)
che la dovremmo smettere con le parole in secondo piano, quello di fuga, con le valigie pronte, condannate a riferire sempre la solita nenia, le solite camomille, le solite tisane all'occasione corrette perché se il maledettismo è sparito anche dalle quarte di copertina, dietro le quinte c'è ancora spazio. proprio un peccato non approfittarne. le parole che non sanno pronunciarsi su niente ma stanno lì solo in vece di, a mo' di citazione, e citano tutta una serie di cose che si svolgono dal comò in avanti. ma il comò non c'è più, come palla prigioniera, come le freak c'est chic, basta con questi oggetti in bretelle (anche quelle: non se ne è saputo più nulla), basta con la coperta corta del discorso comunque ascellare - a dispetto della brevità. non è che l'horridus non sappia scrivere, eh: è una parola piana, una parola media, una poesia da percorrere tutta in quarta. lo si fa per voi (voi chi?), una poesia piena di comfort, reclinabile, a scomparsa. l'horridus è capace di giurarlo: fosse per lui, dal cilindro caverebbe dei geroglifici da spavento, sa dirle le cose difficili se gli gira, fidatevi. ma è buono, è magnanimo, sempre sia lodato.
(bisognerebbe avere il coraggio di condannarli una volta per tutte, questo scambio d'organi e questo fluidificarsi della visione. fa pure una po' schifo, a dirla tutta, fuori dai denti e dentro i vasi. si può dare una poesia "dalla cintola in su". come la morte. senza scomodare natiche, tagli di luce che si infrangono sulle natiche, natiche e lenzuola, nati che non gli va proprio di morire e invece, poi prendersela un poco con la porno/pronocrazia e intanto non farsi mai mancare, penna alla mano, la propria buona percentuale di natiche, meglio se 1:1, a ogni natica sta una pagina. altrimenti che pensano, pensano che non ne vedo di natiche, meglio ancora 2:1, per scongiurare sospette deformità. un florilegio di natiche).
che la dovremmo smettere di condire tutto con una parata di oggetti, dato che ormai il suono è quello della rimpatriata di invalidi civili: oggetti di ritorno dal frontespizio, oggetti in sciopero e in pensione, che tirano il fiato, le cuoia, all'occasione i sanpietrini, gli estintori mentre il (famigerato) fuoco sacro dell'araldica brucia in disparte e nessuno se lo fila. una spolverata di paleolirica non guasta mai: tramonti, se ne avanzano. foglie di sicuro, e se ci stanno le foglie vuoi che non ci siano gli alberi? state a sentire: lo sapevate che prima di ispezionare natiche e riportare il tutto meticolosamente sono stato piccolo? nel senso, a un certo punto avrò avuto sei, sette anni. l'infanzia, la sospettavate l'infanzia? eccovela servita: fuori le natiche, dentro la nonna e i camioncini dei pompieri. non è una roba nuova, non è più poetica degli oggetti ma poetica dei ninnoli, delle carabattole da comò, ossia quando ancora il comò si chiamava comò e non aveva cessato di esistere, soppiantato dagli algebrici impiallacciati ikea. è sempre pacchiano, ma senza più l'umorismo da mondobig(i)otto. "questo verbo più logoro di noi" e non so voi (voi chi?, di nuovo), ma stando a noi ce ne vuole.
(c'è chi lo pensa e magari fra un po' ce lo viene a dire, e mannaggia ma come si fa, un lavoro di anni e anni sul declassamento della sensibilità (tà-tà-tà, come il rullo della pellicola o il rullo compressore sulle asperità della lirica, come la mitraglia ma a salve) e ora ci schizzi in faccia questo succo gastrico, questa salsa in bustina, questo poco, queste cafonate deliranti semiserie intollerabili schifo culo. anzi, schifo natiche. le generazioni, ci assicurano, entrano, ma qui la verità è che non se ne esce fuori.)
che la dovremmo smettere con le parole in secondo piano, quello di fuga, con le valigie pronte, condannate a riferire sempre la solita nenia, le solite camomille, le solite tisane all'occasione corrette perché se il maledettismo è sparito anche dalle quarte di copertina, dietro le quinte c'è ancora spazio. proprio un peccato non approfittarne. le parole che non sanno pronunciarsi su niente ma stanno lì solo in vece di, a mo' di citazione, e citano tutta una serie di cose che si svolgono dal comò in avanti. ma il comò non c'è più, come palla prigioniera, come le freak c'est chic, basta con questi oggetti in bretelle (anche quelle: non se ne è saputo più nulla), basta con la coperta corta del discorso comunque ascellare - a dispetto della brevità. non è che l'horridus non sappia scrivere, eh: è una parola piana, una parola media, una poesia da percorrere tutta in quarta. lo si fa per voi (voi chi?), una poesia piena di comfort, reclinabile, a scomparsa. l'horridus è capace di giurarlo: fosse per lui, dal cilindro caverebbe dei geroglifici da spavento, sa dirle le cose difficili se gli gira, fidatevi. ma è buono, è magnanimo, sempre sia lodato.
Daniele Bellomi, Manuel Micaletto
Iscriviti a:
Post (Atom)