sabato 21 maggio 2011


al lavoro

al lavoro, allora, adesso,
in parte sulle informità, col protocollo della spedizione
che non fa mai ritorno oltre il raggio stabilito.

*

al lavoro perché belli
e proni, e per questo dannati, come dipendenti
moderati e umani, plastici, al collaudo, intervenire
docili sempre, a non sbagliare montaggio sul quale
incatenarsi.

*

al lavoro sulle matrici implose
dei conti correnti o dei bilanci mai in grado, mai
possibili al quadrare, tenendo un profilo prudente
nella spesa, mai il successo che rende uniformi
o investe come verbo attivo ma sul finanziario
e non stradale, ma il mai successo, l'interesse
che per nessuno paga.

*

al lavoro senza sosta o definitiva
riposizione del corpo sempre automunito,
ripiegato sui comandi alla scansione dei prodotti
e magazzini.

*

al lavoro con due mani sulle leve
che le muovono sin dal primo giorno, due mani
ancora proprie per il freddo che perdura e non
indora, con il caldo degli stabili deserti e balneari,
vogando la sabbia via dal vento.

*

al lavoro con nessuna parte o patente,
ma con il tasso esperienziale dello scavo, così che
i candidati non possano arrivarci al proprio posto,
bloccati fra le righe del parcheggio aziendale,
in equilibrio sulle macchine dei dirigenti. perché
sappiano almeno dove il corpo si ripone, di quale
grazia o gratificazione si presume.

*

al lavoro soltanto arrangiandosi,
cercando di non muoversi troppo, di non creare
sospetto con pause molto lunghe, farle nascoste,
furtive, perché nessuno abbia di che lamentarsi,
così che niente ci sia di che ridire.

*

al lavoro, allora, e basta, perché
sia una volta sola l'annullarsi, perché non venga
in mente alla sera di dare un'occhiata a qualcosa,
che non ci si accorga mai dell'infiltrazione lenta,
dal soffitto, che si allarga come se nulla succedesse,
come se nulla fosse per com'è, ma solo una volta
vederla, questo. e basta.

*

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