venerdì 7 febbraio 2014


daniele bellomi - discharge (ii) (diffuse, matter)


la presa si oppone rivoltata, spareggia
l’uso, l’allungo delle cinque dita: lo stesso danno
è separato dalla scoria, per sempre, aggancia
l’obbiettivo fuori rampa, l’ordine dei frutti,
il moto improprio
di due stelle a pari, a fare il paio,
quando impatta è solco,
guida infrarossa, radianza costante, ordine
che investe il sedimento, gli arti, il canale impartito,
il sovrasto dei flussi, l’intercezione
misurata in metri quadri, l’entrata
chiesta in quella stanza e decaduta nell’estendersi
dei giorni: qualcuno per qualche parte,
qualcosa, per niente, è fatto risplendere,
annichilato in massa critica e distanza,
nel corpo a corpo con la via marina, preso
e scordato poi all’accesso della danza, messo 
al paio: l’uno che non vede l’altro
e l’altro che dimentica, rimane lì per stare,
persistere nel movimento effuso dalle mani,
nella genetica soffiata via
da questo ammasso irrimediabile.
stati a pari, quindi, di una materia diffusa
e conservata: nessuno mai conduce batterie,
cortine batteriche, balistiche
terminali, pronte a riconoscersi nell’addizione
esterna dei parti, non-prati
e poi disastri, residuati volatili dei giorni:
qualcuno da qualche parte, qualcosa, per niente,
sotto una pioggia più pesante,
sta per stare, persistere nella dimora
del contagio: la testa vede l’acqua, l’urto
in sezione, l’interludio: il resto è il detrito,
la rovina è disattesa, instabile.

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