martedì 7 giugno 2011


cas(s)a di risonanza

Poesia è archeologia. Svelare qualcosa di antico. Un rinvenimento - più estesamente, *rinvenire*. Maneggiare fossili, cocci: il corpo dell'estinzione. (Per questo leggere-scrivere: non divertissement ma, realmente, questione di *principio*).

Questo è Rilke che spolvera il suo pianoforte: "ed il suo bel nero profondo diventava sempre più bello. Che cosa non si è conosciuto, se non si è vissuto questo! [...] mentre tutto diventava chiaro intorno a me e l'immensa superficie nera [...] acquistava, in qualche modo, una nuova coscienza del volume della stanza, riflettendola sempre meglio (grigio chiaro, quasi cubico)". (Poesia come faccenda domestica).

La casa, inevitabilmente, è il témenos. Il luogo (e non lo spazio) spinoziano dove collidono istanza etica e geometrica. (Diciamo, per economia: il luogo *geometico*). Dove l'azione è prosciolta dalla volontà, scagionata, tradotta in gesto gestazione. Dove la polvere sprigiona gli oggetti -> stando a Brodskij, "privatizzano l'infinito". L'infinito è proprio un esito della pressione, dello schiacciamento: davvero la parola è "flatus vocis". S-fiatare.

Perciò la casa non è la "somma di tutte le perfezioni", non l'addizione, ma la dizione. Scandire l'evento. Anche nel senso per cui Bachelard dice degli armadi che sono il "luogo del candore".

L'impasse heideggeriana dello svelamento (a-letheia) si risolve nel prendersi-cura-del-mondo, accudire gli oggetti, sollevare la polvere fino al momento della luce, alla radura improvvisa (il mot(t)o eracliteo del fulmine che taglia il buio).

Forse è questa la lezione di Cartesio, del Cartesio ottico, del Cartesio di Grünbein, "sulla neve": le parole sono "lente" (prima ancora che lette e dette - diottria\dottrina e latenza). Frenano l'evento fino alla pacificazione del perimetro. Ingrandiscono, adulterano, falsificano, soffondono, mettono a fuoco l'evento ("feu la cendre"). Lo destrutturano fino a rimuoverne il significato cinetico. La casa è il singolo "frame" - la cornea, la cornice (battuta gratuita: cornietzsche). Vedere la casa significa non vedere niente. Muoversi geometricamente, automaticamente, un orientamento dianoetico.

Casa è l'altro nome della cecità. La neve è un continuamento della casa, l'applicazione dell'uniformità del luogo allo spazio.
(Derrida *osserva*, a proposito di Tobit: *vedere* l'origine. Archeologia).

->: dare alla luce: convocare la superficie, lo "smalto sul nulla". Riesumare un volume pregresso. E allora, più precisamente, riportare (dall'ordine) alla luce: rendere conto alla luce di -, riferire alla luce. Un catasto (dolente).

"Io sono morto e resuscitato con la chiave ingemmata della mia ultima cas(s)etta spirituale" (Mallarmé).

La casa-scatola. Meglio ancora, la casa-scrigno. Una stagione all'interno. Una sintassi china su se stessa, ricurva, come la verità nietzschiana.
Dunque cas(s)a di risonanza, a vantaggio della parola. Per questo la poesia deve essere vuota: per essere abitabile.

- (Non non non (non) "rovinare le rovine". Piuttosto, rovinare. Mimeticamente, fino alla spina dell'identità, il ricovero. Il romanzo, la tragedia del fenotipo.
Non a caso Bachelard parlava (insistentemente) di "retentissement").


3 commenti:

  1. ho fatto bene a lasciare il cappoto, mi si danno ottime pietanze. non sciupo queste riflessioni con un commento fesso; piuttosto, scoprendomi in inconsapevole dialogo su alcune questioni primarie qui esposte ("casa", "etica", "fenotipo") mi permetto di lasciare un piccolo link (la bottiglia di vino da du' spicci dell'ospite):
    http://eexxiitt.blogspot.com/2011/06/del-fenotipo.html

    (una casa, forse, completamente tagliata *nelle* cuoia del Toro).

    un saluto,

    f.t.

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  2. Benn detto. Il cappotto, se ti viene comodo, puoi lasciarlo qui. Ci pensiamo noi ad accudirlo.
    Se ti capita per le mani una casa ennesima, non esitare a condividerla.

    ("Dimorano", nel senso latino di "morantur". A proposito della poesia, sempre. E della casa, sempre).

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  3. ci si è - difatti - sempre *dentro*.

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